Nei giorni del dopo aggressione siamo costretti ad assistere alla caccia alle streghe. A vedere applicato, per l’ennesima volta, quello che Giampaolo Pansa chiama “il metodo della lavagna“. Che divide il Paese in buoni e cattivi, innocenti e colpevoli, uomini liberi e schiavi. Se infatti chi ha scagliato la prima pietra, lo sappiamo, è Massimo Tartaglia, si sprecano le ipotesi su chi o cosa ne abbia manipolato la follia, facendo sì che lo squilibrio si assestasse in un gesto d’odio verso il Premier.
I dubbi si sono presto dissipati, perché con il gesso le ipotesi diventano certezze. Ed ecco Alessandro Sallusti, vicedirettore de Il Giornale, riassumere il dogma del centrodestra, secondo cui l’aggressione sarebbe il risultato di “una regia e una strategia che passa anche per giornali, segreterie politiche e trasmissioni televisive irresponsabili”. Associare al concetto nomi e cognomi, ripetendo quanto dichiarato allo speciale di RAI1 della sera precedente: La Repubblica, Michele Santoro, Marco Travaglio, Antonio Di Pietro. E alludere che anche Pierferdinando Casini, reo di aver prospettato “sorprese” contro Berlusconi, sia tra i “mandanti morali” dell’aggressione. E mentre piovono le querele (dell’editorialista del Fatto, del leader dell’UDC) e nessuno nella maggioranza prende le distanze, il desiderio di ristabilire la verità senza se e senza ma porta addirittura a un comunicato del gruppo del PDL al Senato contro Marco Travaglio, in cui si legge che ”la sua follia, il suo odio pari alla sua nullità, non conoscono limite”. Confortante sapere che provenga dalle stesse persone che hanno passato gli ultimi due gioni a predicare la calma. Il “clima d’odio” sarebbe dunque figlio della campagna diffamante dei “lupi che si travestono da agnellini” (Mario Giordano) ora che a forza di ululare qualcuno ha risposto al richiamo. E chi prova a ricordare che se il bersaglio della violenza è Berlusconi e non, che ne so, Bossi o Fini, un motivo ci deve pur essere, viene passato per “il vero istigatore politico”. Da una parte i buoni, dall’altra i cattivi.
Lo schema si ripete nell’opposizione. Che condanna, è vero, il gesto di Tartaglia, ma dà la colpa dei toni elevatissimi dello scontro politico a Berlusconi. E’ il Premier, come ricorda Travaglio sull’editoriale odierno, ad avere definito “coglioni” gli elettori della sinistra, “matti antropologicamente diversi dal resto della razza umana” i magistrati e “golpisti” gli ultimi tre presidenti della Repubblica. L’elenco potrebbe proseguire, ma non servirebbe a nulla. Il concetto è chiaro: l’opposizione è stata costretta ad alzare la voce, perché per farsi sentire da chi urla non c’è altro modo che urlare più forte. Noi da una parte della lavagna, voi dall’altra.
A questo modo le sfumature scompaiono. E il fatto che la verità, come recita l’adagio, stia probabilmente nel mezzo diventa eresia. Che Berlusconi abbia giocato al rialzo è indubbio (è parte del suo carattere), così come indubbie sono le strumentalizzazioni di un movimento tutt’altro che violento come “Il Popolo Viola“. Ma che l’opposizione abbia passato più tempo a pensare come ucciderlo (politicamente) che costruire una cultura antagonista al berlusconismo è altrettanto vero. Si dirà che se lasciato governare avrebbe distrutto le regole del gioco democratico. Io non lo credo possibile: fino ad ora il tentativo di rendersi primus super pares è fallito due volte, e di certo i magistrati avrebbero fatto meglio e prima il loro lavoro (anche nei confronti del Premier) se invece di vedere le carte processuali sbattute in prima pagina un giorno sì e l’altro anche avessero potuto operare con la necessaria discrezione. E poi un conto è ipotizzare riforme costituzionali che alterino l’equilibrio dei poteri, un altro realizzarle. Come si è visto, larghi settori anche della maggioranza sono contrari alla visione autoritaria del potere di Berlusconi. E per portare a casa le modifiche servono i 2/3 dell’Aula. Dove sono?
Inutile dunque che l’opposizione ricordi gli insulti della maggioranza e che la maggioranza ricordi quelli dell’opposizione. Come ben sa chi ama, quel che serve a ricomporre una situazione difficile non è una lavagna, ma l’ascolto. E a tendere l’orecchio dovremmo essere tutti, nessuno escluso. Senza cadere nella presunzione di ritenerci innocenti, senza pensare che quanto è successo non sia, in qualche misura, reponsabilità anche nostra.
Senza questa fondamentale inversione culturale, prevarrà lo scontro. Anche dopo Berlusconi. Come scrive Claudio Messora, “un’Italia riconquistata a colpi di statuette in faccia non mi interessa, perché non sarà migliore di quella precedente. Ne sarà solamente un’ipocrita, obbrobriosa e deformata immagine speculare”.
Meglio provare ad andare oltre lo specchio e la lavagna.