Autopsia: come evitarla dopo la morte e quando va fatta. I casi
Autopsia: che cos’è in concreto e perchè va fatta. Quali sono le ipotesi in cui scatta e come è possibile evitarla. Ecco i casi
L’autopsia, detta anche “esame autoptico”, è un’operazione che si vorrebbe sempre evitare, ma la legge talvolta la pone come imprescindibile. Vediamo allora che cosa dice la legge su questo tipo di indagine, quando è doverosa e quando invece può essere evitata.
Autopsia: di che si tratta esattamente? quali sono le finalità?
Prima di considerare l’autopsia dal lato giuridico, vediamo che cos’è – in estrema sintesi – da un punto di vista medico-scientifico. Essa in sostanza è un‘accurata indagine e studio di un cadavere, svolti attraverso operazioni che permettono l’ispezione dei tessuti e degli organi interni, a scopi scientifici o didattici e, in medicina legale, per chiarire le cause e il momento della morte. Insomma, talvolta è doveroso analizzare un cadavere per verificare se il decesso è stato prodotto da uno o più atti violenti e criminosi. È chiaro allora il legame che c’è, in materia di autopsia, tra scienza, medicina e diritto.
Prima che emergano eventuali aspetti penalmente rilevanti della morte di un certo soggetto, sarà un medico specializzato, detto anatomopatologo, con la dissezione anatomica del corpo, a capire quali sono state le cause, i mezzi e le modalità che hanno portato alla morte.
Quando può essere eseguita?
Anzitutto va ricordato che, secondo il D.P.R. n. 285 del 1990, l’autopsia non può essere svolta prima delle ventiquattro ore dalla morte, salvo circostanze eccezionali che rendano doveroso l’esame in modo immediato.
Quando in concreto può essere fatto tale esame? Fondamentalmente, in tre ipotesi differenti:
- se l’autopsia è domandata dai parenti del defunto o dal medico curante, laddove sia poco chiara la ragione della morte (ad esempio nei casi di ricovero in ospedale per ragioni non gravi, durante il quale sia avvenuto il decesso);
- se la richiesta è fatta dalla direzione sanitaria dell’ospedale in cui il decesso ha avuto luogo (cd. “autopsia medica”);
- e, non meno importante, se richiesta dal Procuratore della Repubblica o dal giudice penale a scopo di integrare il materiale da esaminare in corso di causa e di verificare possibili ipotesi di illecito penale (cd. “autopsia giudiziaria”);
In base alla legge vigente, in caso di “autopsia medica”, gli esiti dell’autopsia debbono essere resi noti al sindaco e da quest’ultimo al coordinatore sanitario dell’unità sanitaria locale per attestare le cause del decesso e adottare tutte le misure necessarie, anche per tutelare la salute della collettività ed evitare l’insorgenza di possibili epidemie.
Può essere impedita?
A questo punto, è legittimo domandarsi se una persona può imporre che dopo la sua morte nessuno svolga autopsia nei suoi confronti, oppure se i parenti possono impedire che sia fatto tale esame. Ebbene, la risposta che la legge dà è negativa, pertanto al ricorrere delle circostanze che la giustificano, ragioni prettamente mediche oppure giudiziarie, non sarà possibile – o quanto meno sarà molto difficile – opporsi all’esecuzione dell’autopsia. Insomma, sono evidenti ragioni di ordine pubblico a prevalere sulle singole volontà, laddove sia ritenuto opportuno, ed anzi doveroso, procedere all’esame, per salvaguardare la collettività dalle malattie oppure per accertare una eventuale responsabilità penale.
Come accennato, evitarla è molto difficile, però non è ipotesi vietata. In effetti, i parenti hanno diritto di opporsi, magari per ribadire la volontà del defunto in tal senso: per sfruttare questa possibilità, gli interessati dovranno fare una formale opposizione scritta verso l’autorità che l’ha decisa e, laddove i motivi rilevati siano ritenuti fondati, potrebbe scattare la revoca dell’autopsia.
Concludendo, va ribadito però che nella quasi totalità dei casi, i motivi di ordine pubblico sono e restano prevalenti: ne consegue che la revoca dell’autopsia è cosa nella prassi assai rara.
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