TP intervista Luigi De Magistris
Sabato 12 dicembre abbiamo intervistato Luigi De Magistris, ex magistrato ed europarlamentare dell’Italia dei valori
eletto presidente della commissione Controllo di bilancio al Parlamento europeo.
[ad]Con lui abbiamo parlato, oltre che della sua attività in Europa, di No B. Day, del congresso di Idv, del rapporto tra magistratura e politica e dei rapporti tra mafia e politica. A BREVE IL VIDEO INTEGRALE DELL’INTERVISTA
Onorevole De Magistris, come valuta il No B. Day, quale ruolo può avere il “popolo viola” ed è d’accordo con chi dice che simili manifestazioni possono aiutare Berlusconi? E se no, perché?
Io sono un grande fautore del No B. Day, sono stato tra i primi anche all’interno di IdV, e non solo. Quest’estate ho scritto di questo; sono convinto che noi sconfiggeremo Berlusconi, ma anche il berlusconismo e il disegno autoritario che è in atto nel Paese se mettiamo insieme un patto forte tra chi assume un ruolo di rappresentanza politica istituzionale e la democrazia partecipativa, il popolo, le masse. Questi movimenti sono fondamentali, non solo perché esercitano una pressione positiva sul mondo della politica, ma perché sono il luogo principale della politica. Quando in passato accusavano le manifestazioni di Grillo di essere l’antipolitica, cioè una manifestazione che riempì una piazza come quella di Torino che era stracolma (nessun partito oggi riesce a riempirne una così), quella è politica. Ovviamente la politica non si fa solo così, perché poi si deve incanalare nei luoghi istituzionali e di rappresentanza: ma è così che nasce. Il No B. Day è stata una grande manifestazione pacifica, di resistenza, di opposizione; credo abbia un futuro politico non nel senso che il No B. Day sarà un nuovo partito, perché lì c’erano non solo persone senza una particolare idea politica e non appartenenti a partiti, ma anche molte persone di partito, c’eravamo noi di Idv, c’era il popolo di Rifondazione, il popolo di Sinistra e libertà, i movimenti cattolici e laici, quelli nati in rete; secondo me quello è un grande laboratorio politico che io vedo non come punto di partenza perché su quello noi stiamo già lavorando, ma come uno dei passaggi attraverso cui passa la costruzione di un’alternativa di governo. Secondo me il Pd ha fatto un errore politico – o meglio, la nomenklatura del Pd, perché poi una parte del Pd c’era, il popolo ed alcuni dirigenti. Ma non un errore politico involontario; cioè non hanno partecipato non perché siano “sprovveduti”; ma un errore voluto, nel senso che hanno un’idea diversa di intendere l’alternativa di governo; però anche là vedo che c’è un dibattito aperto perché ho visto anche esponenti del Pd presenti.
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Anche l’Idv è in una fase “evolutiva” molto importante, e tra non molto si celebrerà un congresso. Non pensa che sia necessario un congresso “vero”, magari preceduto da delle primarie, e con più di due candidati (visto che attualmente contro Di Pietro si è candidato il solo Barbato, ed è quasi scontata la vittoria dell’attuale presidente di IdV)?
[ad]Io credo che Italia dei valori si trovi effettivamente in un momento molto delicato, perché con le elezioni europee ha avuto un balzo in avanti enorme; Idv cresceva da tempo però è indubbiamente con le europee che raddoppia i voti, che sono soprattutto voti di opinione, cioè non sono voti strutturati o voti di partito. Sono voti soprattutto di opinione per la scelta coraggiosa, direi unica nel panorama politico, di Antonio Di Pietro di voler aprire moltissimo alla società civile, addirittura credo in una percentuale del 90%, cioè introducendo persone che avessero dimostrato, nella loro storia di vita, da che parte stavano, anche provenienti da impostazioni culturali e sensibilità politiche diverse. A me questo è piaciuto molto perché mi ricorda la Costituzione repubblicana, visto che ritengo che il periodo che stiamo vivendo sia il peggiore a partire dal 1948. La Costituzione repubblicana fu messa in piedi e fu realizzata da forze e personalità che venivano da realtà diverse e che però avevano a cuore la democrazia e lo stato di diritto. Adesso l’Idv si trova a dover trasformare il voto di opinione in classe dirigente, cioè deve formare una classe dirigente che rappresenti l’8%, laddove aveva una classe dirigente del 3-4%. Tra l’altro c’è anche da dire che la stessa Idv ha subito una trasformazione: nasce come una componente politica di estrazione moderata e invece ultimamente ha un’apertura molto maggiore proprio perché credo che abbia l’ambizione – soprattutto se continuiamo così con i nostri principali interlocutori del centrosinistra, in particolare col PD – di crescere ed allargarsi sempre di più, e per essere forte deve avere una classe dirigente altrettanto adeguata. Quindi è chiaro che bisogna far sì che ci siano quante più persone è possibile che si candidano ad essere classe dirigente del partito. Poi c’è il congresso, e nel congresso chiunque si vorrà candidare potrà farlo
Quindi il congresso è più aperto di come viene percepito?
È aperto, io personalmente non mi candido perché non intendo ricoprire ruoli di partito, ho un ruolo istituzionale in questo momento molto importante, che sto facendo con grande entusiasmo; e cercherò di dare un grande contributo alla crescita di Idv, ovviamente nella direzione che stavo dicendo adesso, cioè di forte rottura col sistema castale, niente a che vedere col consociativismo di potere e assolutamente indefettibili per quanto riguarda l’alternativa culturale e morale a questo sistema. Anche perché credo che Di Pietro possa rappresentare in questo momento in modo perfettamente ottimale questo percorso di crescita di Idv. Certo però, come dicevo prima, c’è bisogno di immissione di molta gente nuova, che non si metta una zavorra a questo progetto, dall’esterno come dall’interno.
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Lei ha contestato duramente il Csm che l’ha trasferita dopo un procedimento disciplinare e ha attaccato il Presidente della Repubblica, oltre naturalmente al vicepresidente del Csm Mancino: qual è la differenza tra le sue affermazioni e quelle di Berlusconi che attacca anche lui la magistratura e il Capo dello Stato? Non c’è il rischio che magari passi un messaggio di somiglianza tra voi due?
[ad]No, è molto diverso. Innanzitutto il tipo di critica: Berlusconi attaca sostanzialmente i magistrati che lo vogliono processare per fatti di mafia, di corruzione, o che vogliono processare gli amici suoi, per fare semplicemente il loro dovere; io ho criticato il Csm perché non mi faceva fare il mio dovere, che è esattamente l’opposto di Berlusconi: cioè io attacco il Csm perché mi trasferisce non consentendomi di indagare. Il Csm non è la magistratura, il Csm è l’organo di autogoverno di cui fanno parte per un terzo rappresentanti politici e per due terzi rappresentanti delle correnti dei magistrati. Il Csm l’ho criticato perché ritengo che in quelle vicende abbia fortemente attentato all’autonomia e all’indipendenza della magistratura, non solo nella mia vicenda ma anche in quella dei magistrati di Salerno [Apicella, Nuzzi e Verasani, ndr], si sia scritta una pagina buia della magistratura. Io da sempre, da quando sono entrato in magistratura, non difendo le patologie della magistratura, difendo l’indipendenza dei magistrati, che vanno difesi non solo dall’esterno, cioè dal potere politico, ma anche dall’interno. Io posso dire per esperienza che non è una categoria tutta rose e fiori, è una categoria come un’altra, e forse le peggiori interferenze al mio lavoro sono venute da opere di magistrati. Quindi io credo che sia questa la differenza: le critiche di Berlusconi a Napolitano sono le critiche di chi è abituato a criticare tutti, io faccio una critica che è più profonda, alla quale io non ho avuto risposta, cioè sulla vicenda giudiziaria, sul fatto che lui non abbia ritenuto di fare nulla in favore di servitori dello Stato che constrastavano il crimine organizzato. Anche le sue dichiarazioni sul protagonismo dei giudici: che cosa intendesse dire con quelle parole non l’ha mai specificato, e io sono intervenuto su queste cose. Poi credo che in democrazia la critica, purché sia fatta con continenza, si debba fare nei confronti di tutti.
Lei ha parlato di “mafiosi di Stato” usando una parola molto forte che è stata poi riportata dalle agenzie di stampa: a chi si riferiva?
Io faccio questo ragionamento: la mafia, dopo la stagione delle bombe – in particolare le stragi di Capaci e via D’Amelio del 1992 e quelle di Roma, Firenze e Milano del 1993 – ha cambiato completamente strategia politica. Ha abbandonato l’attacco militiare alle istituzioni ed ha cominciato a penetrare all’interno di queste, non solo nel sistema finanziario, attraverso il rciclaggio di ingenti profitti derivanti dal traffico internazionale di droga, ma è penetrata nei meccanismi costituzionali e politici, perché si era rotto un certo modo di intendere il rapporto tra mafia e politica. […] Questo “patto” saltò a mio avviso nel gennaio del 1992, quando la Corte di Cassazione confermò la sentenza del maxiprocesso di Palermo. Come in tutte le guerre si opera con le bombe e con la diplomazia, così in quel periodo la mafia operò con le bombe e con la trattativa: le bombe servono perché la mafia dimostrò che poteva mettere in ginocchio il Paese, e quindi alzò un prezzo altissimo. Chiusa la stagione delle bombe, si chiuse secondo me la trattativa, e la mafia cominciò ad istituzionalizzarsi, e a diventare in parte governo, in parte Stato. La mafia del terzo millennio è la mafia del colletto bianco, non è la mafia dei Riina, dei Provenzano e dei Bagarella, ed è la mafia che si siede insieme alla politica, alla borghesia mafiosa nei consigli di amministrazione delle società, in Parlamento, dappertutto, e quindi ha inquinato completamente la nostra democrazia, il nostro Paese, diventando un cancro. Ovvero non c’è più Stato e anti-Stato, ma per i magistrati e per le forze dell’ordine, quelli che ancora sono rimasti che intendono indagare in questa direzione, secondo l’obbligo previsto dalla Costituzione, i principali nemici non ce li hanno tanto dalla mafia “esterna”, militare, ma ce li hanno dall’interno, cioè da quella prosecuzione della mafia che è diventata Stato, è diventata governo, è entrata nelle istituzioni e ha anche rapporti molto stretti con magistrati, con forze dell’ordine. Io oltre ad appurarlo in diverse indagini ho anche testimoniato fin dove arrivavano queste propaggini della criminalità organizzata, fino a quanto soprattutto magistrati in calabria erano collusi con ambienti della criminalità organizzata.
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Passiamo adesso all’Europa: con l’approvazione del Trattato di Lisbona la politica europea diventa in qualche modo più forte, anche nelle scelte dei singoli paesi: a livello di Parlamento europeo, quali margini sussistono per un’attività di controllo sull’attività legislativa dei singoli stati? E come si sta svolgendo il suo lavoro nella commissione di controllo di bilancio comunitario?
[ad]La commissione di controllo sul bilancio sta lavorando alacremente, in un’ottica di trasparenza, di correttezza e di legalità nella gestione dei fondi pubblici. Noi abbiamo diverse competenze: la principale è quella di verificare come i soldi vengono spesi non solo dalle istituzioni europee, quindi i bilanci dei vari organi (Consiglio, Commissione, agenzie varie, eccetera) ma poi verificare come gli stati spendono i soldi, in particolare i Fondi Strutturali che vengono inviati in quantità enormi, miliardi di euro. Verificare se ci sono state frodi, verificare le irregolarità, il tipo di irregolrità, se si tratta di errori, di colpa, di incapacità o di dolo. E facciamo anche un altro tipo di valutazione politica, cioè il rapporto costo/benefici di un’opera pubblica: cioè un’opera pubblica finanziata dall’UE potrebbe anche essere realizzata ma risultare poi inutile. Puoi anche finanziare un’autostrada e farla veramente, però magari la fai in una campagna dove passano al massimo cinque automobili, se vai a vedere quanto hai speso non ti conviene. Questo è, dal punto di vista politico, il discorso dei fondi pubblici, perché i fondi pubblici dovrebbero soprattuto creare svuluppo economico, tutelare l’ambiente, creare lavoro, e non invece clientele, “imprenditori di fondi pubblici” e quant’altro. Su questo noi possiamo avere un ruolo non solo ex post, cioè di intervenire sul momento patologico, ma dando contezza del fatto che noi possiamo avere una funzione preventiva. Il Trattato di Lisbona, sul quale si potrebbe discutere a lungo a proposito delle luci e delle ombre, dal punto di vista del ruolo del Parlamento lo accresce notevolmente. Questo è importante perché fino ad adesso il peso fortissimo l’hanno avuto i governi in Europa, perché il Parlamento europeo aveva solo poteri molto limitati. Invece adesso passiamo in una fase di codecisione col Consiglio in materie fondamentali come il bilancio, giustizia e sicurezza, quindi il Parlamento, espressione del popolo e della sovranità popolare, diventa legislatore. Quindi io ritengo che ci sarà un tasso di democraticità in Europa considerevole. Poi è prevista anche un’altra cosa importante: noi abbiamo lanciato proprio l’altro giorno, al dibattito sulla corruzione che facevo, una campagna che faremo nel 2010 per raccogliere un milione di firme in Europa per una legislazione più forte contro la mafia e la corruzione; perché adesso col Trattato di Lisbona è prevista la possibilità di iniziativa legislativa popolare, se nei 27 stati dell’Unione si raccolgono un milione di firme, quindi è una cosa importante perché è una spinta dal basso per legiferare.