Perché “un partito della Costituzione” non basta per una nuova opposizione

Perché “un partito della Costituzione” non basta per una nuova opposizione

 

Fa discutere la proposta contenuta nell’editoriale di Paolo Flores d’Arcais (Il Fatto Quotidiano, 29 dicembre) …

…di “dare vita a una nuova opposizione“.

[ad]Il direttore diMicromega chiede ad Antonio Di Pietro di assolvere al “compito improcrastinabile” disciogliere l’Italia dei Valori “dentro a un crogiuolo […] che veda co-protagonisti i movimenti della società civile, le lotte sindacali che si moltiplicano, le nuove generazioni “viola”, la cultura “azionista” e la scienza “illuminista””. Il tutto per contrastare il “regime berlusconiano”, retto sul “totalitarismo televisivo e la non-opposizione del Pd”: “ne va della salvezza, anzi della restaurazione, della stessa democrazia”.

L’obiettivo? Un “grande partito della Costituzione“, che rappresenterebbe a questo modo una opposizione “larghissima nel paese” ma assente in Parlamento. Una forza che, secondo Flores d’Arcais, “può già ora raccogliere un italiano su quattro, e in un domani non lontano ambire alla maggioranza“.

Sarebbe dunque questa l’alternativa a “dalemoni”, agli “inciucisti” e a un Partito Democratico che l’opposizione sembra saperla fare soltanto a se stesso (si pensi ad Arturo Parisi, che oggi rivela candidamente, in una lettera al Riformista e in una intervista alFatto Quotidiano, di pensare che Bersani non abbia una linea politica; per non parlare degli scontri Emiliano-Vendola in Puglia, delle spaccature sull’opportunità di dialogare col Pdl per le riforme e chi più ne ha ne metta).

Lascio volentieri l’ironia a Libero, che “teorizza” un governo Di Pietro con Marco Travaglio Copresidente del Consiglio (“al posto strategico che era di Gianni Letta”), e ministri Beatrice Borromeo alle Pari Opportunità (“non tanto per le competenze professionali quanto perché “Se Berlusconi ci aveva messo una gnocca, io no?””), Gioacchino Genchi alla Giustizia (entrato a palazzo Chigi “alla ricerca di una toilette; s’infilò, per sbaglio, nell’ufficio del Presidente del Consiglio, e ne uscì, venti minuti dopo, Guardasigilli”) eHomer Simpson alla Semplificazione normativa. Nome del partito: “Forca Italia“.

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[ad]La questione posta da Flores d’Arcais merita invece una risposta seria, perché costringe a interrogarsi sul futuro dell’opposizione in un Paese in cui un gruppo di quattro persone su Facebook (merito del Corriere della Sera) fa notizia più di una inchiesta su un segreto di Stato imposto per coprire un uso illecito dei Servizi Segreti.

Propongo a Flores d’Arcais qualche spunto di riflessione. Prima di tutto, i pilastri del berlusconismo si stanno, seppur lentamente, corrodendo. Il “totalitarismo televisivo” è ancora potente (anche se eviterei in ogni caso di utilizzare il termine “totalitarismo”, perché non mi risulta che gli oppositori di Stalin e Hitler potessero disporre dell’equivalente di trasmissioni in prima serata, per quanto ostracizzate e delegittimate), ma lo sarà sempre meno. In futuro il potere di formare l’opinione pubblica non passerà attraverso il tubo catodico, ma viaggerà in rete. Lo sanno bene gli strateghi del governo, che infatti si sono dati da fare per cercare di “regolamentare” internet (emendamento D’Alia, ddl Carlucci, ddl Pecorella-Costa, ddl Lauro ne sono la prova) e addomesticarlo a proprio uso e consumo. Ecco spiegato il motivo di tanto chiasso per qualche imbecille che si sente il Tartaglia o la Maiolo di turno su Facebook. Per ora hanno fallito (anche grazie alla lungimiranza di esponenti del Pdl come Cassinelli e Palmieri), il che dimostra che non c’è (ancora) alcun “totalitarismo digitale”.

Inoltre, se è vero che il Pd è allo sbando è anche vero che è allo sbando proprio perché c’è chi predica il dialogo con Berlusconi. Il che significa che la “non-opposizione” deriva più da una strutturale mancanza di identità che da una condivisa volontà “inciucista”. Il nodo dovrà sciogliersi presto: prestare il fianco a riforme di dubbio interesse per il Paese (ma di sicuro interesse per il Cavaliere) oppure no? Ne va dell’esistenza stessa del Partito Democratico. E questo indipendentemente dai progetti di Di Pietro.

In secondo luogo, quale reale possibilità ha un progetto come quello di Flores d’Arcais di diventare maggioranza “in un domani non lontano”? Senza il contributo dell’elettorato del PD, nessuna. Forse l’editorialista del Fatto ritiene che basti sventolare la Costituzione per ottenere il 25% dei consensi alle urne oggi, e abbastanza per governare domani? Io ne dubito. Per un simile risultato elettorale servono proposte concrete. Serve la fantomatica “alternativa” di cui tutti si riempiono la bocca senza riempire la parola di contenuto. E quale “alternativa” (di governo, sia chiaro) presenterebbe il “Partito della Costituzione” in temi chiave come il lavoro, l’immigrazione, la sicurezza, l’economia?

Invito Forse Flores d’Arcais a considerare che l’appello del “Popolo Viola” cominciava con l’incredibile frase: “a noi non interessa cosa accade se si dimette Berlusconi”. Che ilprogramma dell’Idv al primo punto ipotizza un raddoppio della cassa integrazione ordinaria e ammortizzatori sociali per tutti quelli che ne siano sprovvisti, senza tuttavia indicare con quali soldi farlo. Che alla voce “sicurezza e immigrazione” si parla di regolare i flussi migratori secondo “principi di solidarietà, di effettiva occupazione  e di capacità di sussistenza”: in concreto? Questo dovrebbe indurre gli elettori di centrodestra a cambiare casacca? Ridare fiducia a quei lavoratori che hanno ascoltato promesse e belle parole come queste per decenni, per poi trovare spiacevoli sorprese in busta paga alla fine del mese? In sostanza: che tipo di proposta politica sarebbe?

No, Flores d’Arcais: i proclami non bastano. Gridare al “fascismo”, al “regime” e alla “dittatura” non basta. Purtroppo nemmeno chiedere il rispetto della Costituzione basta. E se il Pd dovesse spezzarsi, la sinistra resterebbe all’opposizione per un tempo inimmaginabile.

Se vuole davvero costituire una “nuova opposizione”, chieda a Di Pietro di abbassare i toni, e parlare di proposte di cambiamento. Chieda a Di Pietro di gettarle sul tavolo del Pd, e di esigere risposte inequivocabili. Chissà che non possa essere proprio il “Partito della Costituzione” a costringere Bersani a fare chiarezza. Un passaggio indispensabile per ridare realmente voce a quella parte del Paese che scende in piazza vestita di viola o è talmente disillusa che nemmeno ci va.

E che non dev’essere unita solamente da un no a Berlusconi, ma da un sì a qualcosa d’altro. Dubito che sciogliere l’Italia dei Valori basti per raccogliere la sfida.