Meeting Mondiale dei Giovani: alla Fiera del Levante, la Fiera delle Banalità
Si è svolto questa settimana a Bari il primo Meeting Mondiale dei Giovani: un progetto…
…dell’Agenzia Nazionale per i giovani in collaborazione con la Regione Puglia e il Ministero della Gioventù.
Il Meeting avrebbe dovuto concretizzare un ambiziosissimo disegno la cui elaborazione progettuale ha richiesto due anni di tempo e ha visto la partecipazione di un “kick off committe” di tutto rispetto, che include una moltitudine di partner tra cui l’UNESCO, l’ILO, l’UNHABITAT, l’IDB, la Banca Mondiale e tanti altri.
Si sono trovati a Bari, per prendere parte all’incontro, in millecinquecento tra “esperti di politica internazionale, giornalisti, attivisti e coordinatori di reti nazionali e internazionali, imprenditori, autorità locali e leader indigeni”. Sono arrivati da 163 Paesi diversi (Argentina, Cina, Messico, Korea, Canada ma anche Uzbekistan, Isole Salome, Suriname e Trinidad), oltre tre quarti di tutti i Paesi del mondo, tutti di età compresa tra i 18 e i 30 anni”.
L’agenda dell’evento ha coperto un ventaglio di temi attraverso i quali, secondo gli organizzatori, si è inteso ribadire “l’importanza del contributo dei giovani per affrontare le sfide della sostenibilità in tutti i suoi aspetti: economico, sociale e ambientale”.
Hanno aperto il Meeting i due direttori (Luca Bergamo e Mauro Rotelli), la prof. Saskia Sassens (docente presso la Columbia University, il cui bell’intervento si può riascoltare direttamente sul sitohttp://www.nimociv.org/), Nichi Vendola e Giorgia Meloni. Il Governatore della Regione Puglia ha parlato di giovani come “acrobati della sopravvivenza”, vittime di una precarietà che “uccide l’immagine del futuro”. Ai politici, dunque, va il compito di “imparare ad ascoltare i giovani che esprimono un diritto fondativo, che è il diritto di immaginare che il futuro non sia la continuazione nevrotica del presente”. Vendola, infine, dedica una riflessione ad un fenomeno imperante della televisione italiana e non: Il Grande Fratello, descritto come “una specie di pedagogia dell’individualismo più stupido e volgare”. Il leader pugliese apostrofa dunque i giovani di Bari, che definisce “la dimostrazione che le giovani generazioni non possono essere esiliate nella casa del Grande Fratello, perchè voi nella vostra vita e nella vostra esperienza nella passione per l’ambiente e per la pace, per i diritti umani e per le battaglie di libertà, avete voluto aprire le finestre della vostra casa, avete voluto affacciarvi e soccorrere chi inciampava e dire alla politica che un mondo senza cuore, senza solidarietà, senza fraternità, è un mondo in cui non vale la pena di vivere, voi state costruendo un mondo nuovo”. Un’accozzaglia di belle parole non sempre coerenti, ma sufficientemente infarcite di demagogia da essere in grado di strappare qualche sentito applauso. Giorgia Meloni, che, in questa occasione, non si è distinta né per l’originalità né per le capacità dialettiche, ha toccato brevemente alcuni temi, parlando di globalizzazione, di politica italiana e – ovviamente – incoraggiando ed incitando i partecipanti, definiti più o meno come la crema della gioventù globale.
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Il Meeting, che è partito come un progetto di larghissimo respiro e con grandi aspirazioni, (come risulta evidente anche dalla raffinata scelta del titolo, in Esperanto: “Ni, Mondlokaj Civitanoj”, che significa “Noi, Cittadini Globali Locali”) si è poi, di fatto, concretizzato in una manifestazione gestita male, poco costruttiva e spesso, anzi, piuttosto sterile. Un errore su tutti: non c’è stata una vera e propria selezione sui partecipanti. La professoressa Sassens esordiva sostenendo che chi si trovava ad ascoltarla non era stato “selezionato”, ma doveva rappresentare un inizio, una piccola parte rappresentativa di una sterminata moltitudine. Il discorso non fa una piega e, anzi, è assolutamente apprezzabile e condivisibile: l’idea di selezione presuppone che, se qualcuno è stato scelto, qualcun altro è stato scartato, cosa in netto contrasto con quelli che avrebbero dovuto essere i principi ispiratori di un simile evento. Quando si parla di rappresentatività, tuttavia, si opera comunque una selezione implicita: i delegati dovevano rappresentare i giovani di tutto il mondo, ma in particolare i più preparati, attivi, costruttivi. Dovevano essere persone in grado di essere rappresentanti di alcuni ed esempio per altri. Nelle presentazioni si è sempre parlato di persone con un curriculum invidiabile, cosa quasi sempre vera per i delegati ma di certo non per i partecipanti. La differenza sta nel fatto che mentre ai delegati (circa un terzo dei presenti) veniva pagato tutto (viaggio, vitto e alloggio), ai semplici partecipanti non è stato pagato nulla (e, ovviamente, su questi non è stata operata alcuna selezione). Per cui, di fatto, la maggior parte dei partecipanti “senza titoli” veniva da Bari e dintorni: dovevano quindi affrontare una distanza tale da permettere loro di sostenere spese limitate o nulle. Risultato: si creavano delle commissioni in cui spesso, di fianco ai vari delegati dell’Ilo e dell’Unesco, erano presenti persone senza la minima preparazione sui temi affrontati o, nel migliore dei casi, senza la minima abitudine o esperienza nel mettersi in cerchio e confrontarsi con altre persone. È evidente che, in queste condizioni, era piuttosto difficile creare un dibattito costruttivo e di gruppo.
Secondo problema: tutti parlavano lingue diverse, il che sarebbe stato superabile se avessimo avuto a disposizione un Esperanto fruibile per tutti, cosa che purtroppo non era, perché ovviamente a nessuno si richiedeva di saper parlare l’Inglese. Ai fini di agevolare la comunicazione, dunque, si è deciso di suddividere in gruppi linguistici i vari workshop. Ne deriva che gli anglofoni discutevano con gli anglofoni, i francofoni con i francofoni, gli ispanofoni con gli ispanofoni eccetera, pertanto gli unici gruppi realmente internazionali, di fatto, erano quelli di lingua inglese e spagnola (e, ovviamente, nel gruppo italiano erano quasi tutti di Bari). Misero risultato, per un evento che aspirava a mettere a confronto le diverse esperienze vissute dai giovani di tutto il mondo.
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Terzo problema: gli argomenti. È vero che presentare temi di dibattito troppo specifici ne limita la partecipazione, ma è vero anche che passare tre giorni a discutere sui massimi sistemi si traduce in puro pour parler. In teoria le divisioni dovevano essere per aree tematiche (citizenship, education, employment and economy, environment, human safety and development) all’interno delle quali dovevano essere creati sottogruppi di dibattito su argomenti più specifici. Di fatto nei “sottogruppi”, per varie ragioni precedentemente spiegate e non per forza legate a mancanza di buona volontà da parte dei partecipanti, le discussioni scivolavano facilmente nell’assoluta banalità ma, soprattutto, nella più totale inconcludenza.
Infine, la maggior parte delle attività iniziavano rifacendosi ad alcune avanguardistiche metodologie di apprendimento e socializzazione, sfruttando tecniche definite di ice-breaking, e all’educazione informale. Senza giudicare, mi limito a riportare una definizione del suddetto “ice-breaking” esposta dall’Associazione Italiana Formatori: “la rottura del ghiaccio è un primo modo attraverso cui si inizia a richiedere un investimento psicomotorio ai discenti ed è il momento con cui, nel bene o nel male, si dà una prima forte impronta al clima di gruppo”. In poche parole, si tratta di giochi.
Il Meeting si è concluso giovedì sera con gli interventi di alcuni importanti delegati, tra cui quello di Haiti. E proprio alla tragedia di Haiti è stato rivolto l’ultimo pensiero ed un auspicio per il futuro.
di Silvia Quaranta