Quando le indignatio lavandaiae raggiungono la saturazione, oppure sono talmente ridicole da essere una palese, disperata richiesta d’attenzioni, smetto di seguirle e mi metto a leggere libri di Storia, dove di queste idiozie – quasi sempre esistite – non c’è traccia. Vengono soffiate via dagli storici per dedicarsi a questioni più pragmatiche e che hanno ripercussioni sulla società italiana.
Da quando ho iniziato a scrivere di Storia sono rimasto affascinato da un lato l’interesse che suscitavano gli articoli, e dall’altro come ne esistessero pochi e di due tipi: o quelli mal confezionati che raccontano gli eventi come fossero la lista della spesa, o quelli degli storici veri che contengono troppe informazioni. Gli storici, del resto, sono come architetti e ingegneri: s’ammazzano di lavoro principalmente per stupire e impressionare i propri simili, e snobbano i comuni mortali.
Ma un’altra cosa che ho notato è l’assenza di documentari, approfondimenti o articoli “pop” che riguardano gli ultimi quarant’anni. Lì fuori è pieno di storie finite nel dimenticatoio e poi, pian piano, fatte sparire anche dai motori di ricerca senza che nessuno ci badasse. Storie grandi e piccole che in Italia, per molte ragioni, s’intrecciano; viviamo in un paese dove se tiri per strappare un’erbaccia il minuto dopo ti trovi in mano il tentacolo di Chthulu.
Per alcuni le storie vengono coperte da oscure macchinazioni, apparati deviati, gombloddissimi e varie SPECTRE – oltre al sempiterno e sempre spassoso complotto sionista massonico. In realtà il principale autore delle censure è la folla che, non potendo ragionare, se non ha un bersaglio ben definito si annoia. Le armi di distrazione di massa non esistono. Esistono legioni di idioti che una volta messi in comunicazione si divideranno in due gruppi: uno creerà e perseguirà religioni pagane, l’altro passerà il tempo a smontargliele, entrambi si odieranno e insulteranno senza concludere nulla.
Nel 1970 gli anarchici venivano accoppati anche perché facevano controinchieste. Non erano quelli che vediamo oggi nei centri sociali e nemmeno – tranne una percentuale – quelli che vanno a distruggere i laboratori dei ricercatori. Erano uomini e donne con una filosofia che sapevano muoversi e mimetizzarsi tra la gente, ci interagivano, ci si confrontavano e soprattutto indagavano con il metodo deduttivo, non con quello induttivo.
Erano dannatamente bravi e pericolosi, mettevano in crisi molti giornalisti professionisti, ed erano persone comuni. Oggi tutto questo non esiste perché i giornalisti devono e i civili vogliono dedicarsi alle flatulenze di qualche personaggio televisivo. Il tempo necessario a redarre gli articoli, la paga irrisoria e la clickocrazia hanno fatto il resto. Screenshottare il proprio arguto tweet a Salvini è più cool che passare un mese in silenzio per fare un’inchiesta con fonti, interviste, telefonate, approfondimenti; soprattutto, paga e viene premiato di più.