È il caso di parlare di tragedia sfiorata (purtroppo non sempre va così – qui l’articolo del tragico epilogo per Daniele Nardi) per Simone Moro e Tamara Lunger impegnati da dicembre in Pakistan. Scampato il pericolo, dai due – in particolare da Simone Moro – il racconto di ciò che è successo sabato 18 gennaio 2020 durante una delle loro imprese.
Di seguito il racconto dell’alpinista-scrittore nato a Bergamo nel 1967 che con la collega è in Pakistan, sul Karakorum, con il sogno di concatenare Gasherbrum I e Gasherbrum II anche a costo di sfidare ardue imprese.
Versione integrale del racconto di Simone Moro
Simone Moro incidente, il racconto – “Simone Moro Tutto è bene quel che finisce bene” è l’incipit dell’alpinista.
Senza stare a girare troppo attorno al concetto, ieri siamo arrivati veramente a un soffio da un epilogo tragico e funesto sia per me che per Tamara.
Eravamo intenzionati a passare due notti sulla montagna, raggiungere campo 1, dormire lì e il giorno dopo dirigerci verso campo 2.
Eravamo FINALMENTE fuori dalla cascata di ghiaccio, avevamo superato anche l’ultimo grosso crepaccio e procedevamo sul plateau sommitale. Sempre legati perché sapevamo che i crepacci erano sempre in agguato e antenne sempre dritte ma il morale alto e la soddisfazione di aver superato tutto
Il labirinto di ghiaccio grande.
Ma la giornata non era finita e quello che ci aspettava terribile.
Approcciando un crepaccio mi sono messo come sempre in posizione per assicurare Tamara che per prima lo ha attraversato e si è poi portata in zona di sicurezza, 20 metri oltre il crepaccio.
Poi è venuto il mio turno e dopo una frazione di secondo, mi si è aperta una voragine sotto i piedi e sono precipitato. Tamara ha subìto uno strappo tanto violento che è letteralmente volata fino al bordo del crepaccio e io in caduta libera a testa in giù per 20 metri sbattendo schiena gambe e glutei sulle lame di ghiaccio sospese nel budello senza fine in cui continuavo a scendere. Largo non più di 50 cm, tutto buio.
Sopra Tamara aveva la corda avvolta intorno alla mano e gliela stringeva come una morsa e le provocava dolori lancinanti e insensibilità. Io ero al buio e lei lentamente scivolava sul ciglio del crepaccio. Il tutto complicato dal fatto che lei aveva le racchette da neve ai piedi. Sono riuscito con una mano a mettere un primissimo precario ancoraggio e, pur sentendomi lentamente scendere verso l’abisso ho avuto la lucidità di prendere la vite da ghiaccio che avevo all’imbrago e fissarla nella parete liscia e dura del crepaccio. Quella vite ha fermato lo scivolamento mio e la probabile caduta nel crepaccio di Tamara.
Da lì, senza entrare nei dettagli, ci siamo inventati il modo di uscire. Quasi due ore dopo. Contorsionismi e mille sforzi mi hanno permesso al buio e schiacciato tra due pareti larghe 50 cm. e risalire in piolet traction tutto il crepaccio.
Tremolante e con mille contusioni ho abbracciato Tamara che piangeva anche dal dolore alla mano. Mentre salivo era riuscita ad organizzare una bella sosta di recupero e ad assicurarmi mentre scalavo i 20 interminabili metri di ghiaccio liscio. Siamo scesi al campo base che, già allertato e rassicurato via radio.
Oggi ho organizzato l’evacuazione di trasportata con richiesta di accertamenti medici per entrambi. Oggi i dolori sono più forti e la mano di Tamara parzialmente insensibile e non utilizzabile.
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