C’era da aspettarselo, sebbene non in questi termini. Dopo le dimissioni novembrine di Francesco Rutelli, la presidenza del Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica (Copasir) è passata con voto unanime a Massimo D’Alema. Nonostante la nomina di “baffino” fosse nell’aria dal giorno dell’addio di Rutelli, l’unanimità del voto non era poi così scontata. E lo si capisce se si presta attenzione alla composizione di questo recente organo parlamentare, del quale è bene conoscere le caratteristiche basilari.
Il Copasir nasce nel 2007, erede diretto del Comitato Parlamentare di Controllo sui Servizi Segreti (Copaco). È un organo del Parlamento italiano con funzione di controllo sui servizi segreti. Ciò significa che ha il compito di «verificare, in modo sistematico e continuativo, che l’attività del Sistema di informazione per la sicurezza si svolga nel rispetto della Costituzione e delle leggi, nell’esclusivo interesse e per la difesa della Repubblica e delle sue istituzioni». In parole povere, deve garantire che si usino i servizi segreti per il bene e la sicurezza del Paese e non per coprire eventuali “magagne” di politici e amministratori. Del Comitato fanno parte dieci parlamentari – nominati dai presidenti di Camera e Senato ed equamente divisi tra maggioranza e opposizione – i quali eleggono il presidente del Copasir tra i cinque componenti appartenenti ai gruppi di opposizione.
Questa breve digressione serve a comprendere alcuni passi fondamentali della nomina di D’Alema. Innanzitutto, è bene sottolineare un passaggio che a molti è sfuggito. La condicio sine qua non perché un parlamentare possa diventare presidente del Copasir è che faccia parte dello stesso come membro. Il problema è che l’ex ministro degli Esteri non faceva parte del Comitato, finché il 13 gennaio scorso Emanuele Fiano, componente del Pd, non ha rassegnato le dimissioni. In soldoni, quest’ultimo è stato gentilmente “allontanato” per aprire la strada della presidenza al leader democratico.
Alla luce di tutto ciò, la notizia è che i quattro membri dell’opposizione (D’Alema si è astenuto dalla votazione) lo abbiano votato all’unanimità insieme ai cinque della maggioranza, anche dopo la doccia fredda pugliese. La pesante sconfitta del candidato dalemiano Boccia contro Vendola, poteva indurre alcuni piddini a vendicarsi della tattica fallimentare del “Lìder Massimo”. Ma non è stato così, forse perché nell’aria potrebbe esserci la costituzione di una nuova Bicamerale.
L’investitura dalemiana va oltre quello che può sembrare un dovuto riconoscimento politico della persona. È da tempo che tra i due schieramenti parlamentari si discute di riforme condivise e Berlusconi ha già avviato la ristrutturazione generale delle agenzie di sicurezza. Ad essere rivoluzionate sono state l’Aise e l’Aisi (ex Sismi e Sisde). Dopo l’aggressione di Milano, il premier ha anche pensato a Niccolò Pollari per riorganizzare la sicurezza della Presidenza del Consiglio dei ministri. Alla luce di ciò, per Berlusconi avere un interlocutore come il leader piddino, con cui anche in passato si è riuscito a dialogare in più occasioni, potrebbe facilitare il lavoro. D’Alema, da parte sua, non si è fatto attendere: sono già all’ordine del giorno due procedimenti su cui è stato posto il segreto di Stato e su cui il neopresidente dovrà esprimersi. Il primo riguarda il presunto dossieraggio illegale effettuato dagli allora vertici del Sismi; il secondo riguarda il rinvio a giudizio di Pio Pompa e Niccolò Pollari nel processo sul sequestro dell’ex imam Abu Omar, su cui la presidenza del consiglio aveva fatto cadere, a suo tempo, la riservatezza.
Giuseppe Ceglia