I francesi, Gerusalemme e una rissa vecchia di 164 anni
Oggi è accaduta una scenetta divertente.
Come tutte le guerre degli ultimi due secoli, cioè quando tecnologia e artiglieria si scontrano con strategie e tattiche ormai obsolete, la guerra di Crimea fu un massacro disgustoso. Era figlia degna degli uomini del tempo, quelli che da un lato consideravano le vite umane alla stregua di formiche, dall’altro erano capaci di suicidarsi per onore, orgoglio e fede religiosa, parole che oggi in Occidente risuonano ridicole o incomprensibili.
La combatterono francesi, inglesi, sardi e Impero ottomano da una parte, l’Impero russo dall’altro. Il motivo del contendere – semplificando molto – era il sempiterno controllo di Gerusalemme tra ortodossi, cattolici e musulmani. Durò tre anni. Verso la fine, quand’era chiaro che l’avrebbe spuntata l’Impero Ottomano, il 18 febbraio 1855 lo Zar Nicola morì per lo stress e toccò al suo successore Alessandro II firmare la pace, per poi seppellire 750,000 sudditi.
Non che gli ottomani fossero contenti
Il loro esercito si era rivelato patetico, obsoleto, mal addestrato e indisciplinato. Avevano vinto solo grazie agli infedeli occidentali e ora toccava pure ringraziarli; non era il caso di fare i furbi o i taccagni dopo aver visto di cos’erano stati capaci. Il sultano Abdulmecid fu così costretto a fare delle riforme, dette Tanzimat: accentrò l’amministrazione dell’Impero, decretò l’assoluta uguaglianza tra minoranze senza distinzione di fede politica o religiosa e regalò a Napoleone III nientemeno che Sant’Anna, la chiesa crociata che diventerà la madrasa del Saladino.
Da quel momento del 1855, la chiesa di Sant’Anna in Terra santa è da considerarsi in tutto e per tutto territorio francese, proprio come un’ambasciata. Gli ottomani rumoreggiano e protestano, tanto che alla prima visita ufficiale da parte del duca di Brabante nel marzo 1855 le guardie vengono chiuse nei loro alloggi per paura che abbiano colpi di testa.
Passano 120 anni e non cambia nulla
L’Impero ottomano si disintegra, nasce e muore quello Austroungarico, in Russia c’è la rivoluzione bolscevica, due guerre mondiali, il Vietnam, la guerra fredda; la chiesa di Sant’Anna rimane un minuscolo territorio francese ora nel cuore di Israele. E come 120 anni prima, quando Jacques Chirac nel 1996 ci va in visita, per le strade ci sono provocazioni, risse, litigate e spintoni tra forze armate locali e quelle francesi. Passano 164 anni, Chirac muore; le guardie che all’epoca l’avevano spintonato e insultato forse sono ancora vive, ma di sicuro non sono in servizio.
È la volta di Emmanuel Macron, che appena si avvicina alla chiesa, sotto gli occhi di tutto il mondo, riceve lo stesso identico trattamento toccato al duca di Brabante nel 1855, per lo stesso motivo, nello stesso posto, nello stesso modo. “Tutti qui conosciamo le regole” grida “Vi prego di rispettare quelle regole che vigono da secoli.”. Poi, pare, fa la pace con gli agenti dello Shin Bet che si volevano intrufolare nella chiesa “solo per garantire la sua sicurezza”. Come se gli otto legionari francesi non bastassero.
Ha un bel messaggio, a tratti romantico, e un insegnamento
Se mi chiedessero a cosa serve studiare la Storia, o cosa ci trovo io di appassionante, userei questo semplice aneddoto. Perché spiega in un gesto come le azioni causano reazioni anche dopo venti, cinquanta, cento anni. Dimostra che la Storia non è una narrativa slegata dalla realtà bensì ne è le fondamenta, senza le quali è impossibile capire dove si va o dove si è.
Spiega – o ricorda – che ogni cosa che abbiamo attorno è stata conquistata o persa da un padre, un nonno, un trisnonno e che mentre alcune famiglie si disintegrano e dimenticano, altre portano ancora con loro la propria storia, che va a formare la spina dorsale di un popolo ben oltre i suoi governi o le sue polemiche del giorno. Insomma, regala una bella prospettiva.