Accertamento fiscale e ingiunzione pagamento: differenza e cosa cambia
Accertamento fiscale ed ingiunzione di pagamento: che cosa sono di preciso, perchè il contribuente deve fare attenzione e qualè la differenza.
Non è la prima volta che poniamo attenzione verso la materia fiscale: ci vogliamo qui soffermare su alcuni concetti chiave dell’attività propria dell’Agenzia delle Entrate, ovvero il Fisco. Vediamo allora qual è l’esatto significato di concetti quali “accertamento fiscale” e “ingiunzione di pagamento“. In effetti si tratta di argomenti di cui ogni contribuente dovrebbe aver contezza, specialmente in tutte quelle circostanze in cui deve difendersi con ricorso ed assistenza di un avvocato, da richieste (più o meno fondate) di pagamento dal parte dell’Agenzia citata, cui si correla il non remoto rischio di un pignoramento dei propri beni per “saldare” forzatamente i debiti. Facciamo chiarezza.
Accertamento fiscale ed ingiunzione di pagamento: il contesto di riferimento
In verità, oggigiorno per un debitore, sfuggire ai controlli del Fisco è operazione sempre più difficile. L’accertamento tributario, ovvero il complesso delle attività di indagine e controllo tipiche del Fisco, mirate a far rispettare le norme fiscali stesse, sono attività amministrative di tipo vincolato, ovvero mancanti della discrezionalità amministrativa che caratterizza solitamente la P.A. In altre parole, tale fattore fa sì che gli operatori dell’Amministrazione finanziaria abbiano sempre una certa cautela nello svolgimento dei compiti loro affidati dall’ordinamento, per tutto ciò che attiene ai controlli sui contribuenti.
Tuttavia, i poteri istruttori dell’Amministrazione Finanziaria si sono evoluti recentemente, diventando più pervasivi e capaci di analizzare molto da vicino ogni dato fiscalmente rilevante dei contribuenti. Anzi, dal prossimo aprile scatteranno i primi controlli “a tappeto” sulle cosiddette liste selettive – redatte dall’Agenzia delle Entrate – di potenziali soggetti evasori fiscali. In questo ambito il Fisco attende un decreto del Ministero dell’Economia, che dovrebbe sbloccare questi controlli e che dovrebbe esser pronto entro marzo. A seguito di tale provvedimento, lo Stato di fatto potrà analizzare davvero ogni conto dei contribuenti, attraverso un algoritmo (che però non sempre funziona correttamente) che setaccerà bonifici e giacenze varie, al fine di scoprire incongruenze tra quanto dichiarato e quanto sussistente in realtà.
Accenniamo anche che il complesso delle attività dell’Agenzia delle Entrate è svolto da una pluralità di organi, stante l’estrema ramificazione tipica dei controlli fiscali. Materialmente il Fisco si serve, in particolare, di due organi essenziali come la Guardia di Finanza e l’Agenzia Entrate Riscossione: la prima di fatto svolge i controlli e gli accertamenti fiscali, è insomma l’appendice operativa del Fisco stesso; la seconda invece opera quando l’evasione fiscale è stata acclarata, con strumenti incisivi di recupero coattivo (in primis il pignoramento dei beni, ma anche misure cautelari come l’ipoteca sugli immobili). Fatte queste necessarie premesse generali, vediamo ora la distinzione tra accertamento ed ingiunzione di pagamento.
Qual è la differenza tra i due concetti?
Ebbene, l’accertamento fiscale altro non è che quell’avviso comunicato dall’Agenzia delle Entrate (tramite raccomandata a.r.), con cui è richiesto il pagamento spontaneo di quanto fiscalmente dovuto al contribuente, verso il quale sia stata individuata una evasione o comunque una violazione di una o più norme tributarie. È vero anche che l’accertamento fiscale è un provvedimento amministrativo che consente al contribuente di evitare ulteriori e più gravose conseguenze, permettendogli – una volta informato dei controlli – di provvedere autonomamente a regolarizzare la propria posizione di contribuente debitore verso il Fisco. Per questa via, infatti, è possibile sfuggire alle attività successive dell’Agente della Riscossione, ovvero le attività coattive di recupero forzoso dei crediti, pagando finalmente quanto dovuto al Fisco.
Insomma, l’avviso di accertamento è l’atto amministrativo che conclude un previo iter amministrativo di indagine, controllo e verifica svolto dall’ufficio delle imposte (cioè l’Agenzia delle Entrate). È un iter cui non partecipa in alcun modo il contribuente esaminato e di cui egli viene a conoscenza soltanto al termine, con la notifica dell’avviso di accertamento fiscale. Contro tale atto, può esser fatto ricorso, entro 60 giorni dalla notifica, presso la Commissione Tributaria: in mancanza di ricorso entro il citato termine, l’accertamento diventa definitivo e non più contestabile (anche laddove sia davvero infondato).
L‘ingiunzione di pagamento si distingue dall’accertamento fiscale, anzitutto perché l’ente che la redige non è l’Agenzia delle Entrate, ma il braccio operativo rappresentato dall‘Agenzia Entrate Riscossione. È insomma un atto meramente eventuale che scatta comunque dopo l’accertamento, laddove il contribuente debitore non abbia ancora saldato il debito con lo Stato.
La finalità dell’ingiunzione è quella di ricordare e di fatto intimare il pagamento, per evitare il gravoso pignoramento beni. In verità però la funzione forse più peculiare dell’ingiunzione è quella di impedire che il credito del Fisco cada in prescrizione (la prassi infatti ci dice che i tempi del pignoramento sono solitamente molto lenti): per interrompere i termini di prescrizione allora si rende doverosa l’emissione di atto amministrativo, appunto l’ingiunzione di pagamento.
Anche per contestare l’ingiunzione di pagamento sussiste il termine di 60 giorni dalla notifica, ma non possono essere contestualmente fatti valere eventuali vizi dei precedenti atti (come l’accertamento), che in quanto ormai definitivi, restano tali e quali. Inoltre, l’ingiunzione di pagamento dà soltanto cinque giorni di tempo per poter adempiere, ovvero un termine molto breve ma la cui esiguità è anche giustificata da tutto l’iter amministrativo che lo precede.
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