Secondo alcuni esperti, la citofonata di Matteo Salvini a una famiglia tunisina nel quartiere bolognese del Pilastro avrebbe fatto perdere consensi alla centrodestra – o “riattivato elettori del centrosinistra – in maniera decisiva: quel tanto che basta per perdere l’opportunità di ottenere una storica vittoria in Emilia-Romagna. Per rimembrare molto rapidamente, il leader del carroccio chiese a un ragazzo – suonando al citofono – se lui o qualcuno della sua famiglia spacciasse droga. Salvini, accompagnato da uno stuolo di giornalisti, è stato accusato da più parti di un giustizialismo sommario e criticato financo dai suoi alleati. Al di là degli effetti elettoralistici, la vicenda del Pilastro ha destato l’attenzione del Parlamento. Così, il deputato dei democratici De Maria ha provveduto a lanciare una interrogazione rivolta al ministro dell’Interno Lamorgese. De Maria ha chiesto se “le autorità competenti hanno richiesto a chi era presente, a tutela della sicurezza, informazioni e quali siano, nel caso, i riscontri ricevuti”. È qui che le cose si complicano e diventano più intricate del previsto.
L’ipotesi: maresciallo segnala la famiglia a Anna Rita Biagini per riferire allo staff di Matteo Salvini
Secondo la ricostruzione pubblicata sul Resto del Carlino, la signora Anna Rita Biagini – la donna che indicò a Salvini il cognome e il citofono della famiglia tunisina interpellata -, fu contatta da un membro dell’Arma dei Carabinieri. Proprio quest’ultimo avrebbe segnalato a Anna Rita Biagini il cognome della famiglia e avrebbe chiesto che, da cittadina, si mettesse in contatto con lo staff della Lega per un sopralluogo. L’indagato sarebbe un maresciallo dell’Arma. Sono già state avviate le prime indagini preliminari interne, volte a rispondere all’interrogazione del deputato De Maria. È ancora impossibile comprendere quale sarà l’esito delle indagini ma, tuttavia, si può pensare alle ripercussioni sul maresciallo citato. Secondo le sanzioni disciplinari previste, il maresciallo potrebbe ricevere una semplice ammonizione o diffida dal corpo dell’Arma. In casi particolarmente gravi – che sfocerebbero nel penale -, potrebbe essere necessaria l’istituzione di una commissione disciplinare. L’avvio della procedura sarebbe a carico, in questo caso, del generale Claudio Domizi.
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