Vediamo di seguito un istituto giuridico di recente introduzione, che merita di essere ricordato, in quanto l’utilizzo di esso può giocare davvero a vantaggio delle parti coinvolte in una controversia giudiziaria, riducendo di molto tempi e costi per addivenire ad una soluzione alla lite. Parliamo cioè della negoziazione assistita: ecco cos’è, come funziona in concreto e chi la fa.
Negoziazione assistita: che cos’è e quando è stata introdotta
La negoziazione assistita può in sintesi definirsi come un istituto per la risoluzione alternativa delle controversie. L’origine di tale sistema alternativo di gestione e risoluzione delle liti va rintracciata negli ordinamenti degli Stati anglosassoni, dove è stato storicamente più forte l’impulso – anche sul piano politico – ad avere una giustizia più moderna, rapida e funzionale ai bisogni dei privati cittadini. Ma che cos’è di fatto una negoziazione assistita? Essa altro non è che un formale contratto scritto, attraverso il quale le parti si vincolano a risolvere la lite in via bonaria, mediante l’assistenza, la collaborazione e il contributo effettivo dei loro avvocati.
La negoziazione assistita è stata ufficialmente introdotta nel nostro sistema di leggi, con il d. l. n. 132 del 2014 (il cosiddetto decreto giustizia), poi convertito nella legge n. 162 del 2014, sulla scia della positiva tradizione anglosassone delle ADR (Alternative Dispute Resolution), cui si fa risalire altresì l’introduzione – qualche anno prima – della mediazione civile e commerciale anche in Italia.
Qual è la finalità?
Lo scopo della negoziazione assistita è molto pratico: contribuire ad una giustizia più veloce, meno costosa e più funzionale rispetto ai bisogni ed interessi dei cittadini. Oggetto di negoziazione sono solitamente cause di non elevata complessità a livello tecnico, e che quindi non richiedono un contributo decisivo da parte di un giudice ordinario e un iter processuale articolato. Vero anche che tra le finalità della negoziazione assistita, non può non menzionarsi anche quella correlata alla progressiva riduzione dei processi civili nelle aule di tribunali e dell’arretrato, in modo da avere palazzi di giustizia meno intasati da cause di non rilevante difficoltà e tali da esser idonee anche ad una rapida “soluzione bonaria tra avvocati”. Anzi, l’utilità pratica di tale iter è stata di grande efficacia anche per alcuni casi di separazione consensuale e divorzio congiunto, in modo da non rivolgersi al giudice, ma soltanto agli avvocati coinvolti nella negoziazione.
Come funziona? in cosa può sfociare?
La negoziazione assistita è costituita fondamentalmente da un accordo denominato “convenzione di negoziazione”. Con essa le parti in causa stabiliscono di “di cooperare in buona fede e lealtà”, per l’esito positivo della negoziazione stessa. Sarà determinante il contributo dei rispettivi avvocati, per addivenire ad un accordo soddisfacente. Alla base, come accennato sopra, c’è un contratto normativo (la convenzione) obbligatoriamente scritto (a pena di nullità), che pone le regole di effettuazione dell’iter di negoziazione. La convenzione deve obbligatoriamente indicare:
- l’oggetto e materia della controversia;
- i termini temporali dell’iter (in ogni caso, non meno di un mese e non più di tre, salvo proroga di trenta giorni su domanda di ambo le parti);
Se l’iter ha successo, le parti non hanno motivo di proseguire la loro lite in tribunale: vi sarà un accordo di negoziazione assistita, che chiude il procedimento, e varrà come contratto con efficacia tra le parti e vincolante per esse circa le condizioni pattuite in esso.
La negoziazione in oggetto non è generalmente obbligatoria: ovvero la procedura inizia con l’informativa da parte del proprio avvocato circa la possibilità di servirsi di tale iter per la risoluzione della controversia. Inoltre, la parte che avvia l’iter di negoziazione deve inviare all’altra, attraverso il proprio avvocato, un invito (che ovviamente può essere osservato o meno) a stipulare assieme la convenzione di negoziazione.
Quando è obbligatoria?
Tuttavia, non in tutti i casi la negoziazione è facoltativa: la legge vigente infatti fissa l’obbligo di procedere quanto meno con la negoziazione (a pena di improcedibilità della causa in tribunale):
- nei casi di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e da natanti;
- nei casi di domande di pagamento a qualsiasi titolo di somme, purché non superiori a 50.000 euro e non inerenti controversie sui cui è applicata la mediazione civile obbligatoria;
Sono invece sempre escluse dal campo di applicazione della procedura: le controversie in materia di lavoro e quelle in tema di diritti indisponibili (ad es. il diritto agli alimenti).
Concludendo, per ciò che attiene al fattore costi, è vero che la legge in tema non dà indicazioni ad hoc sulle spese: sarà quindi buona regola chiedere un preventivo al proprio legale. Essendo però un iter stragiudiziale (ovvero esterno rispetto al tribunale), si può fare riferimento alla tabella del D.M. n. 55/2014 per le prestazioni di assistenza stragiudiziale.
Segui Termometro Politico su Google News
Scrivici a redazione@termometropolitico.it