Armenia: la maggioranza traballa, l’opposizione se la gioca. Saranno elezioni libere?

Secondo Haroutiun Khachatrian, le elezioni del 2012 costituiscono una novità per l’Armenia, per diversi motivi. In primis, potrebbero essere le prime elezioni ad essere riconosciute come libere e democratiche dall’indipendenza della nazione caucasica. In secondo luogo, si tratta di elezioni competitive, per la prima volta, con una coalizione di opposizione che può costituire una credibile minaccia per il governo in carica.

 

Il governo ci ha messo la faccia, con la promessa di condurre “le elezioni più libere e trasparenti nella storia dell’Armenia moderna”, nelle parole del primo ministro Tigran Sargsyan. Le autorità non possono permettersi un fallimento come quello del 2008, anche in vista delle elezioni presidenziali del 2013, in cui il presidente Serzh Sargsyan punta alla rielezione. I partiti di governo hanno iniziato una campagna elettorale in grande stile, per conquistarsi nelle urne il sostegno della popolazione, anche se resta forte la tentazione dell’uso delle “risorse amministrative” (brogli, corruzione e voto di scambio) per ammorbidire la competizione.

Una coalizione di governo in equilibrio instabile

[ad]La stessa coalizione tripartita che sostiene il governo di Tigran Sargsyan ha un futuro incerto, con un partito, Armenia Prospera, che è molto attivo in campagna elettorale, mentre il terzo, Stato di Diritto, rischia di restare fuori dalla nuova Assemblea Nazionale.  Il partito Dashnak (la Federazione Rivoluzionaria Armena), che aveva inizialmente sostenuto il governo, se ne era poi allontanato a partire dal 2009. Tuttavia, grazie ad una maggioranza stabile, i due Sargsyan sono riusciti finora ad attraversare indenni l’impatto della crisi finanziaria e delle proteste post-elettorali. Tuttavia, la coalizione di governo è apparsa in più momenti come sfibrata, divisa e senza una visione comune. Anche se la maggioranza dovesse essere confermata, negoziare un nuovo accordo di governo tra due partner con trend elettorali opposti potrebbe non essere facile.

Il partito di maggioranza relativa dovrebbe restare il Partito Repubblicano Armeno (HHK), fondato nel 1990 e oggi considerato il partito dell’establishment: funzionari, nomenklatura e oligarchi compresi. L’immagine riformista e tecnocratica di Tigran Sargsyan ha giovato al partito, tuttavia le sue liste elettorali sembrano redatte secondo il “manuale Cencelli”. L’HHK nel 2007 aveva raccolto il 33% dei voti e punta a mantenere il livello, nonostante preveda di perdere qualche seggio.

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Il secondo partito di maggioranza, Armenia Prospera (BHK), è dato in ascesa rispetto al 15% del 2007. Fondato nel 2005 dal magnate Gagik Tsarukian, e legato informalmente all’ex presidente Robert Kocharyan, può contare su una solida base economica e sull’appoggio dell’ex ministro degli esteri Vardan Oskanyan, personalità rispettata nella società armena.

[ad]Stato di Diritto (OEK), al contrario, rischia di scendere sotto alla soglia del 5% e non entrare nel nuovo parlamento armeno. Il suo leader, Artur Baghdasaryan, ha perso popolarità da quanto nel 2008 ha sostenuto la candidatura presidenziale di Sarsgyan e si è poi accontentato di un posto di sottogoverno. Il leaderismo del partito e una lista elettorale senza ispirazione hanno fatto il resto, e il ritorno agli slogan popolari e populisti del passato potrebbe non bastare per garantirne la sopravvivenza.

Un’opposizione decisa a passare al governo

Levon Ter-Petrosyan, già primo presidente dell’Armenia indipendente, è il personaggio di punta di una opposizione intenzionata a dimostrare nelle urne la volontà di cambiamento degli armeni. In cinque anni di opposizione, i 18 partiti coalizzati nel Congresso Nazionale Armeno (ANC) non ha mai riconosciuto i risultati delle elezioni del 2008, e la sua resistenza ad oltranza ha poco a poco sgretolato la legittimità del governo in carica. Le ripetute proteste di piazza e i buoni rapporti internazionali dell’opposizione hanno tenuto i due Sargsyan alla corda. Il messaggio elettorale dell’ANC è centrato sulla corruzione, l’incompetenza del governo negli affari socio-economici, e la sua mancanza di legittimità democratica. L’ANC, che ha la sua base elettorale tra la classe media armena e soprattutto nella città di Yerevan, dovrebbe superare senza problemi la soglia elettorale di coalizione del 7%.

Un’eventuale buon successo dell’ANC alle urne potrebbe aprirgli la strada del governo e spingere Ter-Petrosyan verso le elezioni presidenziali del 2013. Se è improbabile che l’ANC possa giungere da solo alla maggioranza, il blocco d’opposizione potrebbe trovare un accordo di governo con Armenia Prospera (BHK), con il partito Heritage, se non con la Federazione Rivoluzionaria Armenia (Dashnak).

Dashnak, partito socialista e nazionalista che risale all’Armenia indipendente del 1919, ha dalla sua parte un chiaro programma politico e una forte retorica anti-turca, che lo rende molto popolare soprattutto tra la diaspora. Messo fuori legge ad inizio anni ’90 da Ter-Petrosyan, ha ancora cattivi rapporti con l’ANC, e dovrà cercare di non restare schiacciato tra i partiti di governo e la maggioranza d’opposizione.

Heritage, fondato dall’ex ministro degli esteri Raffi Hovannisyan, è un partito d’ispirazione liberale altrettanto forte tra la diaspora. All’opposizione in parallelo all’ANC, un suo buon risultato potrebbe per assurdo favorire i partiti di governo.

La sfida di elezioni libere ed oneste

Il presidente Serzh Sargsyan punta a legittimare la democrazia elettorale armena per farsi rieleggere, mentre Levon Ter-Petrosyan punta ad un cambiamento della maggioranza parlamentare su cui capitalizzare in vista delle stesse elezioni presidenziali.

La maggiore sfida, chiunque esca vincitore dalle urne, sarà di dimostrare che la competizione è stata libera ed onesta. Una delle principali questioni aperte concerne le liste elettorali: nonostante il declino demografico dell’Armenia, il numero degli elettori registrati è cresciuto di 157.000 rispetto al 2008. Le spiegazioni delle autorità, riguardo il maggior numero di elettori della diaspora registrati, non hanno convinto le opposizioni. Un totale di 2.482.238 elettori sono oggi registrati per il voto del 6 maggio.

Le elezioni saranno monitorate da osservatori internazionali dell’OSCE e della CSI, oltre che da 15 ong armene; se risulteranno libere ed eque, il governo dell’Armenia – di qualunque colore esso sia – potrebbe per la prima volta contare su una legittimità allargata, tanto da parte della propria maggioranza che dell’opposizione. Se la democrazia dovesse consolidarsi in Armenia, i governi di Georgia ed Azerbaijan avrebbero certo meno giustificazioni per negare ai propri cittadini le stesse libertà civili e politiche, nelle prossime elezioni previste per il 2012 a Tblisi e 2013 a Baku.

Da EastJournal

di Davide Denti