Licenziamento verbale: cos’è, come si caratterizza e cosa fare
Licenziamento verbale: di che si tratta, da cosa è rappresentato in concreto. E’ valido o no? Come comportarsi in queste circostanze?
Facciamo il punto su un delicato argomento che talvolta emerge nella prassi dei rapporti di lavoro tra dipendente e datore di lavoro, ovvero il licenziamento verbale. Ecco di seguito che cos’è di preciso, come funziona e come comportarsi in queste circostanze.
Licenziamento verbale: che cos’è e come si caratterizza in concreto
Sgomberiamo subito il campo dai dubbi: in caso di licenziamento verbale, il lavoratore è assolutamente tutelato. La legge infatti vieta in ogni caso che un licenziamento sia integrato dalla mera forma orale, al posto di quella scritta. Insomma, il recesso unilaterale esercitato dall’azienda va sempre reso noto in forma scritta, indipendentemente dalle ragioni giustificative. Pertanto, anche quando il licenziamento è astrattamente legittimo perché legato alla cosiddetta giusta causa o giustificato motivo oggettivo o soggettivo, è necessario comunque un comunicato scritto al lavoratore licenziato: altrimenti, la conseguenza sarà l’inefficacia dell’atto, cui si collega il diritto del lavoratore alla conservazione del posto (anzi alla reintegra) e quindi a permanere in azienda. Insomma, laddove un datore di lavoro esclami a voce al lavoratore che è stato appena cacciato, dovrà seguire a breve – verosimilmente a distanza di pochi giorni – una formale missiva in tal senso. Altrimenti, il licenziamento verbale è da ritenersi di fatto nullo, inesistente e quindi come mai verificatosi da un punto di vista giuridico. È vero però che la giurisprudenza della Cassazione ha ammesso la validità del licenziamento, anche nelle ipotesi in cui la forma scritta sia stata rispettata attraverso l’invio di una semplice e-mail o messaggio Whatsapp: vi deve però essere prova dell’avvenuta comunicazione, desumibile peraltro dalla condotta posteriore della persona licenziata.
Quali sono le tutele per il lavoratore?
Il rapporto di lavoro che lega dipendente e datore di lavoro pertanto non cessa in ipotesi di licenziamento verbale, anzi conserva la sua validità. Spetterà però al lavoratore attivarsi ed impugnare il licenziamento verbale, in via giudiziaria. Ma qual è la legge che in concreto rileva?
Ebbene, la normativa di tutela per i dipendenti, in queste circostanze, varia a seconda che il lavoratore licenziato sia stato integrato in azienda prima del 7 marzo 2015 oppure a partire da questa data. Nella sostanza però la tutela è praticamente la stessa. Ai lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015 sarà applicato l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, ovvero la tutela reintegratoria rafforzata; a tutti gli altri invece sarà applicato il cosiddetto contratto a tutele crescenti, e nello specifico l’art. 2 del d. lgs. n. 23 del 2015. Per ambo le situazioni, come accennato, le conseguenze sono comunque le stesse, che di seguito richiamiamo in estrema sintesi:
- reintegra sul posto di lavoro;
- condanna del datore di lavoro al risarcimento danni con il pagamento di un’indennità proporzionata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegra sul posto di lavoro;
- condanna al pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali;
- l’entità del risarcimento non può essere comunque inferiore a cinque mensilità della retribuzione;
Concludendo, la legge consente anche una ulteriore opzione al lavoratore ingiustamente licenziato: infatti, egli ha diritto di conseguire, al posto della reintegra, un’indennità corrispondente a quindici mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR. Come si vede, le tutele quindi non mancano: spetterà però al lavoratore attivarsi celermente ed adire le vie legali.
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