Belgrado senza lustracija. Da Milošević a Dačić, andata e ritorno dei socialisti serbi
[ad]In tutto ciò Boris Tadić, presidente del Partito Democratico, ex-Presidente neodimesso della Repubblica e candidato in lizza per le presidenziali, in concomitanza con le legislative di domenica prossima, ha facile gioco per rispolverare l’adagio dei crimini di guerra. Argomento tra i meno gettonati, e che tutta la classe politica, di gran concerto e con la guida dei democratici per primi, ha spinto sotto al tappeto, evitando qualsiasi forma di lustracija, sia essa morale o politica, con la quale mondare il paese delle sue colpe, che ancora si porta, così pesantemente, sulle spalle. Quale diritto ha Tadić di chiamare in causa i Progressisti per le colpe di guerra, quando proprio lui, nel 2008, strinse un accordo di riappacificazione con il Partito Socialista di Ivica Dačić, già portavoce di Milošević durante l’infernale decennio 1990? E, come già disse qualcuno, com’è possibile parlare di riappacificazione quando non vi fu mai litigio? Vi era semplicemente, da una parte, un regime violento e antidemocratico, detentore della forza, dall’altra, un’opposizione pestata, cacciata, minacciata, picchiata. Oggi al governo, pronta senza imbarazzo e senza ragione apparente a mondare chi non deve essere mondato, macchiato per sempre dell’onta di aver fatto terra bruciata di un paese e del suo popolo. Eppure, per Tadić, che fronteggia oggi Nikolić come più temibile e concreto avversario alle elezioni, la Serbia di Milošević non è stata la Serbia del partito di Milošević, ma solo dei Radicali.
È in questo clima da bispensiero orwelliano che Dačić può trovare la faccia tosta di auspicare una società “giusta e serena”, e uno “stato democratico garante della pace, dello sviluppo dei diritti umani, della cittadinanza e della libertà – politica, socio-economica e culturale”. In fondo, unto dalle mani democratiche di Tadić, il Partito Socialista di Serbia non deve più rendere conto di nulla, non ha conti in sospeso, non dico con la Storia, ma con l’elettorato. Poiché la sua Storia, come si scopre dalle pagine del sito ufficiale, si riduce a una grigia cronologia, dal luglio 1990 al dicembre 2006, di sei congressi di partito, senza il minimo accenno al vecchio “Sloba”. Triste e burocratica, in fondo, nel miglior stile del socialismo post-jugoslavo del suo padre fondatore.
Così, mentre il futuro è sempre di là da venire, prodigo di facili promesse elettorali, prepariamoci alla prossima tesa giornata di urne, increduli di come questa neonata democrazia serba possa già puzzare tanto di vecchio. Torna alla mente, piano, un vecchio adagio che vent’anni fa ce lo annunciava, Viaggia Europa, non aspettare più per noi. / Non domandare troppo, ti farai una cattiva reputazione pure tu…
di Filip Stefanović