È candidato a sei Oscar e ha spaccato in due la critica mondiale: Jojo Rabbit, il nuovo film di Taika Waititi tratta della mentalità e dell’indottrinamento nazista con una satira dai toni fiabeschi, la cui resa finale è stata paragonata a famosissimi capolavori del cinema con il medesimo soggetto, come La vita è bella e Bastardi Senza Gloria.
Almeno da alcuni, altri invece si chiedono se il film meriti d’essere acclamato tanto. Perché il web è costellato di pareri così contrastanti?
Jojo rabbit: nomination agli oscar e trama del film
Il film, liberamente tratto dal romanzo Il cielo in gabbia di Christine Leunens (con sostanziali differenze di trama) ha vinto il premio del pubblico al festival di Toronto ed è ora candidato dall’Academy a ben sei Oscar, tra cui miglior film, miglior sceneggiatura e scenografia, miglior montaggio e costumi e miglior attrice non protagonista, Scarlett Johansson, nel suo anno fortunato (molto apprezzata anche per la sua interpretazione in “Storia di un Matrimonio”, da poco su Netflix).
Il piccolo Johannes, detto Jojo, (Roman Griffin Davis) ha soltanto dieci anni e le idee molto chiare rispetto a quale gruppo aspira ad appartenere: quello della gioventù hitleriana. Si è meritato il soprannome di “rabbit” perché non è riuscito nel compito di torcere il collo a un coniglio, come gli è stato ordinato: al campo di addestramento infatti, i giovani vengono educati a usare le armi, a prevaricare e uccidere, nonché indottrinati per diventare le reclute perfette del Terzo Reich.
Il suo amico immaginario è Hitler in persona (interpretato dallo stesso Taika Waititi), che assume il ruolo di guida idealizzata sempre pronta a ricordare al ragazzo i veri valori del nazismo, ridicolizzato all’estremo, con richiami nemmeno troppo accennati al capolavoro di Chaplin, “Il Grande Dittatore“.
Le certezze costruite nell’infanzia cominceranno lentamente a sgretolarsi quando il bambino scoprirà che sua madre (un’eccezionale Scarlett Johansson) nasconde in casa una bambina ebrea, Elsa (Thomasin McKenzie). Che fine faranno tutti gli insegnamenti fino ad allora veicolati dal mondo degli adulti?
Recensione: il perché delle divergenze
Da un inizio dai toni fiabeschi sulle note di “I want to hold your hand” in tedesco, a risvolti drammatici e molto realistici, il punto più controverso di Jojo Rabbit sembra essere proprio il melting pot di immagini, stili, richiami e passaggi bruschi da un tono all’altro: c’è chi parla di assemblaggio sgraziato tra satira e drammaticità, tra caricatura e contenuti dolorosi e chi riconosce proprio in questi contrasti la caratteristica distintiva della pellicola, tanto da intravvedere in essa non soltanto un possibile futuro cult, ma anche uno tra i prossimi classici film per l’educazione.
Non è un caso però, e questo sembra evidente, che i momenti drammatici segnino un passaggio repentino tra dal surrealismo comico verso toni più cupi e spaventosi, e che la virata avvenga in modo graffiante, senza preavviso. Il suono assordante delle bombe sembra seguire il trauma della disillusione in una brusca torsione verso lo sguardo maturo dell’adulto segnato, dove non c’è ideologia, affetto o amici immaginari che possano più proteggere dall’irruzione del mondo e dei suoi orrori.
Il contrasto, nonostante le critiche, funziona: permette alla narrazione di svolgersi su più livelli d’interpretazione, da quello adulto a quello dall’infanzia, dai carnefici alle vittime, mentre il tutto viene scandito da battute sagaci e sferzanti che distruggono i meccanismi sociali (e atemporali) del pregiudizio: è politicamente corretto, nella sostanza, e non racconta nulla di non già visto, ma a chi piace, piace appunto perché arriva al pubblico attraverso modalità dissacranti.
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