Archiviazione in Italia: cos’è, quando scatta e perché è così diffusa
Archiviazione in Italia: di che si tratta, dove è disciplinata e quali conseguenze comporta. Ecco perchè è così utilizzata nella prassi dei tribunali.
Può capitare che per notizie di reato, anche di un certo clamore sociale, venga disposta in seguito la cosiddetta archiviazione. Se ne parla spesso nella cronaca giudiziaria, ma non sempre viene contestualmente anche chiarito cos’è. Vediamo allora di che si tratta di preciso, quando scatta e quali conseguenze comporta.
Archiviazione: di che si tratta e dov’è è disciplinata?
In estrema sintesi, l’archiviazione non è un vero e proprio iter, bensì un provvedimento (un “decreto”) disposto dal giudice competente (il GIP, ovvero il giudice per le indagini preliminari), con il quale questi sancisce che la notizia di reato, da cui le indagini preliminari sono iniziate, è infondata e pertanto che il procedimento penale non ha ragione di andare oltre, in assenza di validi elementi o indizi per proseguire. In altre parole, il PM – ovvero il soggetto titolare dell’esercizio dell’azione penale – fa formale richiesta scritta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato, nei confronti del giudice, sempre e comunque entro i termini di durata massima delle indagini preliminari.
La fonte normativa essenziale dell’archiviazione è rintracciata nell’art. 408 Codice di Procedura Penale, il quale dispone che il Pubblico Ministero può presentare al giudice una richiesta di archiviazione, laddove – come detto – si convinca che non sussista materiale sufficiente per sostenere l’accusa in giudizio nei confronti dell’imputato o degli imputati.
Lo scopo e l’ottica di tale istituto sono chiaramente quelli della razionalizzazione della giustizia e dell’economia processuale, per evitare una superflua successiva fase dibattimentale. In verità, altri due articoli, il 411 e 415 c.p.p., rilevano in quest’ambito. Infatti, l’archiviazione può essere domandata dal PM anche:
- nei casi in cui non vi sarebbe comunque quella in gergo è definita “condizione utile di procedibilità”;
- quando il reato è estinto;
- se il fatto non è previsto dalla legge come illecito penale;
- se sussiste una ipotesi di particolare tenuità del fatto;
- se l’autore del reato non viene scoperto, restando di fatto ignoto e sconosciuto.
È da rimarcare che soltanto il PM può domandare l’archiviazione: tale provvedimento pertanto non è scelta totalmente discrezionale del giudice, il quale anzi deve sempre pronunciarsi su una previa richiesta del Pubblico Ministero.
Che cosa può decidere il giudice?
Tuttavia, l’ultima parola circa la possibile archiviazione spetta sempre al giudice competente, ovvero il GIP. Egli è obbligato infatti a vagliare attentamente la richiesta formulata dal PM e pertanto, quest’ultimo è tenuto a trasmettergli:
- il fascicolo contenente la notizia di reato, per cui sono state intraprese le indagini preliminari;
- tutta la documentazione sulle indagini compiute;
- e i verbali degli atti compiuti innanzi al GIP.
Per permettere alla persona offesa dal reato di domandare invece la continuazione e la riapertura delle indagini preliminari – con l’atto di formale “opposizione” da effettuarsi entro termini tassativi, in cui vanno indicati l’oggetto delle ulteriori indagini e gli elementi di prova – e di opporsi all’archiviazione entro venti giorni, l’avviso della richiesta va notificato alla stessa persona offesa, che ne abbia effettuato apposita richiesta. Laddove si tratti di reati compiuti con violenza alla persona o di reati di furto con strappo o in abitazione, l’avviso va comunque notificato alla persona offesa, indipendentemente dalla richiesta di essere informati.
Che cosa può decidere il giudice? Due sono i possibili esiti:
- il GIP accoglie la richiesta del PM, ritenendola fondata: pertanto dispone un decreto motivato di archiviazione e riconsegna gli atti al PM. Il decreto in oggetto sarà notificato all’indagato soltanto se ad esso è stata apposta una misura di custodia cautelare, potendo egli richiedere conseguentemente la riparazione per ingiusta detenzione entro 24 mesi dalla notifica. Altrimenti, l’iter potrebbe chiudersi a totale insaputa della persona indagata;
- altrimenti, se il giudice ritiene infondata la richiesta di archiviazione, fissa entro tre mesi la data dell’udienza in camera di consiglio, dopo la quale, se considera doverose ulteriori indagini, le segnala al pubblico ministero. In caso contrario, il GIP dispone con ordinanza che il PM rediga l’imputazione entro dieci giorni.
Concludendo, è ben chiaro che il provvedimento di archiviazione ha una larga applicazione pratica, e anche per reati di una certa rilevanza ed impatto sociale (ad es. truffa), ricorrendo però sempre i tassativi presupposti citati.
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