Coronavirus e impatto sull’economia: facciamo il punto

Oggi il coronavirus rappresenta a tutti gli effetti un nuovo imprescindibile parametro per delle analisi e previsioni sull’andamento dell’economia globale.

Coronavirus e impatto sull’economia: facciamo il punto

Tra il valutare i trend in crescita, gli indicatori di performance ed il tasso di disoccupazione oltre che l’asticella del debito pubblico, a fare i conti di fine anno e le previsioni per il nuovo anno non ci saremmo aspettati di dover prendere in considerazione un fattore strettamente collegato alla salute. Non soltanto la salute della popolazione di un singolo Paese ma addirittura della popolazione mondiale. Oggi il coronavirus (2019-nCoV), ovvero un ceppo dello stesso virus noto da circa 20 anni come SARS e non ancora identificato nell’uomo prima d’ora, rappresenta a tutti gli effetti un nuovo imprescindibile parametro per delle analisi e previsioni sull’andamento dell’economia globale. Ad oggi si contano circa 650 decessi su un totale di oltre 31mila casi confermati e che interessano ben 28 Paesi del mondo ma, purtroppo, c’è anche dell’altro che preoccupa.

Gli effetti del coronavirus sulla produzione

Da sempre annoveriamo tra le peculiarità dell’inesorabile globalizzazione la facilità di spostamento di merci e persone in tutto il mondo. Allo stesso modo, il virus riesce a spostarsi parimenti in tutto il globo con conseguenze non sempre immediatamente evidenti, soprattutto se si parla di economia. La Cina, grande fabbrica del mondo ma oggi anche mercato tra i più attrattivi, deve fare i conti insieme alle multinazionali con le ripercussioni che il coronavirus avrà sul mercato. I big player di ogni settore merceologico, infatti, hanno dovuto attuare politiche aziendali particolarmente restrittive che hanno portato alla chiusura temporanea di centinaia di store in tutto il Paese asiatico. Da McDonald’s a Nike passando per Apple e per le compagnie aeree internazionali come Lufthansa e British Airways, la strategia è quella che prevede l’isolamento.

Centinaia di migliaia di panini invenduti, decine di migliaia di paia di scarpe lasciate sugli scaffali e migliaia di voli cancellati sono soltanto la punta di un iceberg per la città di Wuhan e, in proporzione, per l’intera Cina. Calcolare il peso di questi fattori non è semplice ma nemmeno impossibile ed è la Oxford Economics a definire un primo quadro, come riportato anche dalla BBC.

Una epidemia con alto costo economico

La Cina, secondo l’istituto di ricerca, perderebbe quasi un 1% del tasso di crescita che sull’economia globale rappresenta uno 0,2% in meno. Variazioni percentuali enormi se ricondotte ad un singolo evento e che costringeranno a decisioni di politica economica ancora più ardue per il governo cinese che sembra già intenzionato ad iniettare liquidità a sostegno dei mercati monetari per oltre 20 miliardi di dollari. Un duro colpo per l’economia locale cinese già pronta ad incassare i frutti degli investimenti nelle celebrazioni del tradizionale Capodanno cinese: un intero settore, quello turistico, completamente in ginocchio.

Queste preoccupazioni sono state espresse anche dalla BCE che, per bocca della Presidente Christine Lagarde, sottolinea come ci sia attenzione per i mercati e per le conseguenze dell’epidemia che ha colpito la seconda economia al mondo. Consapevole delle possibili ripercussioni, Lagarde ricorda come la SARS nel 2003 fece registrare una frenata dell’economia che, però, seppe ripartire anche con forza.

Differenti risvolti economici per l’epidemia di SARS e di Coronavirus

Ma il coronavirus rende lo scenario ben diverso da quello che si materializzò all’indomani dell’epidemia di SARS, infatti allora il PIL cinese era “appena” il 4% del totale globale mentre oggi arriva al 17%. Inoltre, un altro aspetto che deve destare non poche preoccupazioni sulle ripercussioni di questo virus, è la natura della produzione cinese: fino al 2012 la quota di produzione rappresentata dalla realizzazione di beni (principalmente di basso valore e largo consumo) era superiore a quella dei servizi del terziario. Oggi la realtà è ben diversa e la quota di servizi che sette anni fa rappresentava circa il 45% del PIL ora sfiora il 55% con il settore della produzione dei beni sceso dal 48% al 39% del PIL. Proprio il terziario, come sopra citato, è il settore più vulnerabile rispetto a fenomeni imprevedibili e nefasti come una epidemia.

Duro colpo anche al mercato delle commodity

Ma non è tutto, anche il mercato delle commodity sta già incassando duri colpi con il petrolio che vede diminuiti i prezzi di circa il 20%. Ciò è dovuto principalmente ad una minore richiesta da parte proprio del mercato cinese oltre che alla contrazione non indifferenze derivante dalla diminuzione drastica del traffico aereo. Chiaramente, è intuibile che non solo il mercato interno cinese resterà vittima di questo fenomeno ma ne risentiranno i mercati di tutto il mondo dove già in queste settimane si stanno registrando segnali negativi. Basti pensare che nel 2019 sono stati circa 150 milioni i cinesi che hanno viaggiato all’estero per turismo. In Italia, sul podio delle mete preferite nel continente europeo, sono 1,5 milioni gli arrivi dalla Cina con un particolare record: la spesa media. Infatti, da un’analisi condotta dal Centro Studi sul Turismo per conto di Assoturismo, un turista cinese spende in Italia mediamente 300 euro durante il suo soggiorno. Questi dati danno una dimensione del danno che il coronavirus sta apportando anche all’economia del bel Paese in queste settimane di blocco totale degli arrivi dalla Cina.

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