La storia dell’intervista al Grande Artista Trasgressivo
Certe cose è meglio non raccontarle, anche se va contro il proprio interesse professionale.
Una decina d’anni fa venni chiamato da Alessandro Q. Ferrari per scrivere in una rivista emergente, un progetto ambizioso e stupendo che ancora oggi, secondo me, avrebbe possibilità. Per farla partire dovevamo consegnare due o tre numeri già fatti a una casa editrice di primo livello, che aveva già visto le prime cose e si era dichiarata interessata. Per il secondo numero stiamo cercando un personaggio che meriti di essere approfondito – ci sono persone, dietro le maschere dei personaggi pubblici – ma sia anche pop e controverso.
Tramite un giro di contatti e favori, complice il fatto che Milano è piccola, riusciamo a ottenere un’intervista con Il Grande Artista. Si tratta(va) di un personaggio controverso, con una storia d’amore che aveva fatto la gioia dei mensili scandalistici, ed era avvolto dal fascino del genio dannato.
Ale lo va a intervistare a casa sua
Il Grande Artista gli fa fare una quarantina di minuti d’anticamera, che sono comunque meno delle due ore che fece fare D’Annunzio a Mussolini. Alla fine lo accoglie in accappatoio, trucco e polvere di fata. Non in quelle dosi da consumatore occasionale che dopo una striscia si guarda attorno lanciando occhiate di approvazione: in quelle dosi che se ti sparano un caricatore in pancia te ne accorgi dopo venti minuti. Ale non è molto a suo agio e chiede più volte se non è il caso di rimandare l’intervista. No, dice Il Grande Artista, anzi, “è il caso che io mi tolga qualche sassolino dalle scarpe”.
Dopodiché per due ore fa un quasi monologo delirante in cui diffama colleghi e produttori, insinua cattiverie e meschinità gratuite e conclude in un turbine di deliri persecutori e complottisti. Tutto questo con un registratore sul tavolo. Tornato in redazione Alessandro fa la sbobinatura e si rende conto di avere in mano una tonnellata di nitroglicerina.
Se quell’intervista esce fa un boato.
Ci vanno di mezzo quelli della sua casa discografica, i suoi ex colleghi, dei personaggi dello spettacolo, la famiglia del Grande Artista e soprattutto Il Grande Artista in persona. Un vortice di autolesionismo, meschinità, autoreferenzialità, vittimismo e, nel complesso, mediocrità che non si aspettava nessuno.
Doveva essere altro, ma quello è.
Ale fa un errore tipicamente suo: è troppo buono. Manda l’intervista al Grande Artista prima di pubblicarla. Mezz’ora dopo succede l’apocalisse. Il Grande Artista gli telefona urlando, sputando insulti e minacce di rovinarlo, di fargli terra bruciata attorno se si azzarda a pubblicare una sola parola di quel mare di bugie e cattiverie, perché lui non ha mai detto né pensato niente di simile. Conclude minacciando ritorsioni sui contatti in comune e riattacca.
Peccato che ci siano le registrazioni audio.
Agli aggettivi di poco sopra, al Grande Artista va aggiunto “coglione”. Perché è come quei personaggi da film anni ’80 che si mettono a sfidare il protagonista di sparargli. Non minacci uno che ti punta una Beretta in faccia.
Ma Ale lascia perdere.
Butta via una giornata e una notte di lavoro per salvare il collo a un povero coglione, che prima di varcare la soglia reputava Il Grande Artista. Chuck Palahaniuk ha detto che non bisogna mai incontrare i propri miti, perché ti deludono inevitabilmente. La rivista stava per partire, poi nella casa editrice c’è un cambio al vertice e la giudicano troppo faziosa. Il progetto naufraga e ognuno va per la propria strada.
Negli anni, Il Grande Artista è finito sempre peggio, perdendo via via il pubblico, il lavoro, la famiglia, la casa e di recente anche la dignità. Era scritto succedesse, prima o poi. Ale scelse soltanto di non essere lui a premere il grilletto, ma di lasciargli la pistola in mano. Perché la gente tende a rovinarsi da sola.
Molti miei colleghi avrebbero ucciso per avere quell’intervista e l’avrebbero pubblicata senza neanche pensarci. Io stesso, all’epoca, non capii la decisione di Ale. Dovevamo fare il botto o no? Dovevamo farecela o no? Perché è questo che pensa e crede chi sta a Milano, o chi va a Milano: sei lì per farcela e ce la devi fare, chi se ne frega se distruggi la vita di qualcuno.
Oggi, che del Grande Artista s’è tornato a parlare, mi sono reso conto di che grande insegnamento di vita è stato quello di Alessandro. Forse non di un certo tipo di giornalismo, ma di vita sì. A volte non è il caso di parlare anche se sai. A volte è meglio lasciar perdere, perché la tua ambizione può creare danni collaterali. Per un mestrino arrivato dalla periferia che voleva tutto e non sapeva come fare, mi ha dato una direzione che ancora oggi cerco di seguire. E che spero di passare a quel giovane aspirante che prima o poi mi capiterà tra le balle.