Essendo il mio budget sul livello “rubiamo, tanto nulla abbiamo da perdere” per arredare una casa ho solo due possibilità: l’usato o il malaffare. Nei miei trent’anni ho avuto botte di culo inaudite tanto da poter essere indagato per incauto acquisto, ma ho anche preso discrete fregature. Trattare con le persone è divertente, ti fa capire molto di loro e se poi entri nella loro casa a ritirare il sudato oggetto, è bello vedere se ci avevi preso o meno. Sono tuffi nel degrado e nell’opulenza, spesso schizofrenica.
Tra le mille avventure vissute fu memorabile quella del mio pregiato mobile bar art decò in palissandro.
Lo cercavo da anni scandagliando tutti i siti e i mercatini possibili, ma il primo ostacolo che si incontra è l’incapacità delle persone di mettere parole chiave utili. Abatjour diventa bajour, basciur, bashur, paralume, copriluce; una lampada diventa l’ampada, lume, luce, piantana. Una credenza diventa tinello, servente, buffet, salotto svendo, arredamento totale, misteriose sigle tipo L120 H85 CA2Z0, mobile TV bagno, hidromassagio.
Le fotografie sono arte astratta: se devi vendere qualcosa all’improvviso la mano trema, la luce si spegne, il braccio guizza nell’aere e di mezzo ci finisce la foto del tuo gatto. “Mi piace viaggiare, il buon vino e la buona cucina” sta a Tinder come “solo veramente interessati astenersi perditempo” a Subito.
Se ami il cinema italiano degli anni d’oro, questo è il suo parco a tema.
Un giorno incappo in “bobiletto carruccio 40 euro”. Grazie a queste keyword l’oggetto non è mai stato visto né trovato da anima viva, ma io cerco anche usando i typo possibili o gli errori d’ortografia più comuni. Nella foto si vede solo il legno e la forma indistinta, ma potrebbe essere lui. Lo contatto chiedendo le dimensioni e risponde “normali”, segno che ho a che fare con uno bocciato ai provini del Grande fratello.
Insisto, lui dice che non ha il metro. Chiedo di fare foto con una bottiglia di birra e le fa: mi faccio i calcoli e sì, costui sta vendendo a 40 euro un mobile bar in palissandro del 1920, la cui replica impiallicciata oggi viene battuta a 12,000 euro. Restaurato arriva sereno ai 30,000.
-Però manca un pezzo – dice – il vassoio sopra della foto nn cè
-Come no?
-Bu no forse il cane
Il vassoio di quel mobile era placcato argento in stile avanguardia razionalista assai minimale rispetto all’epoca. Insisto nel domandare se per caso lo stanno usando come lettiera per il gatto o per sniffarci la colla, ma non c’è verso. Sconsolato me la metto via per due mesi, poi trovo nel paese vicino un vassoio pressoché identico per stile e dimensioni.
Che fortunata casualità, penso.
Con la fida 600 giungo in questo paesino del friuli e il campanello appartiene a una villa moderna con il giardino grande come due campi da calcio. Fuori sono parcheggiati un Porsche Cayenne e un’Audi A8. Mi viene incontro una milf con le labbra tatuate, le tette rifatte sotto una felpa Disegual, jeans attillati e pantofolone a Pikachu. Mi introduce in un salone marmo e acciaio che potrebbe accogliere squadra e tifoseria dell’atletico Bigolino o una partita di bowling, con mobili bianchi in vetro e led che cambiano colore, un tanfo di cantina e cane bagnato da far accapponare la pelle e gigantografie dei figli appese al muro stile maniero inglese.
Avete presente la faccia del viziatello che in discoteca grida “lei non sa chi sono io” al buttafuori? Ecco, il figlio ha la faccia dell’amico di fianco che spintona.
Dalle scale scende Zurlo, il proprietario, tuta dell’Adidas e Balenciaga. Stretta di mano maschia ed ecco il mobile, uno spettacolo.
-Ma il vassoio?
-Bu, perso.
Carico il capolavoro e resisto all’impulso di premere l’acceleratore, tenendo gli occhi inchiodati sullo specchietto retrovisore nel timore che i due rinsaviscano. Faccio cinquanta chilometri e arrivo a prendere il vassoio a casa di Ekaterina, un piccolo appartamentino di periferia a metà strada tra una casa al mare e una serata in discoteca. Ci sono tappeti zebrati, poltrone viola, specchi d’epoca in foglia d’oro, contrasti forti e cristalli. L’ultimo mobile dev’essere di trent’anni fa, ma è tutto molto ben affiatato, e l’atmosfera è quella di una garconniere metropolitana.
Ekaterina è sulla ventina e mi mostra il vassoio che dal vivo non è simile: è proprio il vassoio mancante. Decido che non è il caso di fare la prova sotto gli occhi di Ekaterina, così ringrazio e me ne vado.
Non saprò mai cosa ha portato quel vassoio di finto argento a cinquanta chilometri di distanza nell’appartamento di un’ucraina con stile, modi e atteggiamento così diversi. Forse è un furto, forse un pegno d’amore, forse il figlio, forse il padre, forse la madre. Forse alla mia chiacchierata fedina penale posso aggiungere il reato di ricettazione, chissà.
Tutto può essere, nel magico mondo dell’usato.