Avere i libri ancora negli scatoloni oltre a rendermi idrofobo mi costringe a poter leggere solo libri nuovi prima ancora di avere finito quelli vecchi, ulteriore tortura che mi manda ai pazzi. Avere un libro dietro mi ha aiutato a superare anche i traumi peggiori, e vederli mi mette grandemente a mio agio. Per compensare, faccio acquisti compulsivi nei mercatini dei libri usati che incrocio mentre mi procuro mobili qui e lì.
Ieri ho preso Elsa Maxwell, di cui avevo già sentito parlare su Hollywood Babilonia v.1 ed era addirittura citata in un vecchio film con Rita Hayworth, una sorta di inside joke all’epoca. Elsa era una specie di mostro sacro, venerata e stimata da tutti per il suo talento unico nel fare feste. Se avete visto quella piccola chicca di film che è Vatel, ecco, Elsa Maxwell era il personaggio di Jerard Depardieu all’ennesima potenza.
Il libro che sto leggendo, Party! L’arte del divertimento, è una finestra su abitudini, costumi e divertimenti che non pensavo nemmeno potessero esistere, eppure funzionano su meccanismi umani eterni, adattabili ancora oggi. Man mano che Elsa spiega e suggerisce da un lato la trovi insopportabile, ma dall’altro trasuda entusiasmo e passione vera, genuina, strabordante per quello che fa.
Non è difficile capire come mai le sue feste riuscivano, e lei lo dice fin da subito: non devi dare una festa, ma voler fare una festa. Agli esseri umani piacciono le stesse cose di sempre: bere, mangiare, scherzare, stupirsi, scopare. Ma non sono animali a cui butti la bistecca per terra, devi impiattargliela bene e la bistecca sarà buona in maniera direttamente proporzionale alla bellezza delle porcellane, del centrotavola e dell’impiattamento.
Leggere le sue storie mi ha fatto notare come noi rimaniamo gli stessi, ma abbiamo smesso di cercare quel divertimento. Non tutti, chiaro. Il ballo del Doge fa sempre il pienone, per dirne una, e il biglietto sta attorno ai 5000 euro. Al ballo delle debuttanti c’è la fila e una selezione massacrante. Ma a parte le ricorrenze, noi – la mia generazione, almeno – preferisce dei divertimenti videoludici. Le discoteche stanno affondando per molti motivi, ma credo questo sia uno di quelli.
Un film, una partita a Skyrim, al massimo una cena in qualche ristorante, sono diventati il nostro concetto di divertimento. Perché? La risposta pragmatica è che non abbiamo più case abbastanza grandi per ospitare feste, quella istintiva è che quel tipo di divertimento è uno sbattimento pazzesco. I preparativi, i vestiti, le spese, l’organizzazione; che siamo ospiti o invitati, vediamo solo il lato faticoso e noioso di qualcosa che invece è non solo bellissimo, ma necessario.
Bazzicando tra mercatini ti imbatti in posate, antipastiere, samovar, oggetti che nemmeno sai più a cosa servono ma che i nostri avi tenevano in massima considerazione per sfoggiarli e usarli ogni volta che potevano fare un aperitivo a casa, quando ogni scusa era buona per fare una festa. Vestirsi bene, offrire cibo e vino buono serviva a creare un’atmosfera gaudente che sì, costava fatica, ma dava anche soddisfazioni.
Elsa era una squattrinata bruttina arrivata a ricevere una lettera dai Rotschild perché potessero partecipare a una sua festa. Eppure quando la leggi provi fastidio, come se tra quelle righe ci fosse un grillo parlante che ti ricorda di avere perso qualcosa d’importante, e che forse sarebbe ora di recuperarlo.
Se solo non fosse uno sbattimento pazzesco.
Non è comodo, fare feste. Divertente, soddisfacente, a volte addirittura epico, ma non comodo. La comodità è il cavallo di Troia con cui il nostro cervello bypassa il buon senso in funzione di un abbrutimento solitario che ci porta a isolarci, deprimerci e arrabbiarci, ma almeno seduti sul divano di casa. Questo ha fatto la fortuna dei ristoratori e ha contribuito a riempire le città di posti in grado di farmi un Manhattan come si deve, ma a volte quando su Pinterest mi capitano sotto gli occhi le reclame dell’epoca, mi viene la curiosità di provare a vedere come sarebbe.