EDIT: il pezzo è stato aggiornato perché all’interno era stata inserita per errore la foto di un ragazzo americano che non c’entrava nulla. Scusate.
Incel significa celibe involontario, che si traduce istintivamente in gente che non riesce a scopare. “Ah, i giornalisti di Repubblica!”, penserà subito qualcuno, invece le cose sono più complicate di così. L’esistenza degli Incel è il dettaglio trascurabile di qualcosa molto grande, che ci è cresciuto sotto i piedi negli ultimi vent’anni e prima che riuscissimo a vederne l’entità è diventato endemico.
Degli Incel si è parlato a malapena qui e lì, e mentre la stampa di destra si limita a definirli sfigati o minimizzare il fenomeno, la stampa di sinistra, con la sua proverbiale capacità d’analisi, li ha bollati come “neonazisti”. Non sono niente del genere; probabilmente nemmeno gli Incel sanno cosa sono davvero.
Partiamo dal mondo reale.
Immaginate una comunità qualsiasi: una scuola, un paesino di montagna, va bene anche una palestra se ci andate alla stessa ora per tanti anni. Si impiega poco a riconoscere il piacione, il presuntuoso, il solitario, il paraculo… e lo sfigato. Ora, una comunità è basata sulle interazioni. Chi non interagisce viene emarginato e diventa vulnerabile ai predatori e lo si vede in Natura, ma anche nella vita di ogni giorno: i bulli se la prendono con i deboli, le sette reclutano chi attraversa un momento difficile, il caporedattore bastona il giovane freelance, la folla attacca l’isolato e via dicendo.
Essere “popolare” significa essere ben integrato nel branco. Non si nasce integrati: si nasce avvantaggiati o svantaggiati, ma entrambi devono rubare con l’occhio, scottarsi, migliorare e imparare ad avere a che fare con il prossimo. Ma è una scelta obbligata. Con le persone sei costretto a interagire. Per riuscire a sedurre una donna, a farti aiutare da un amico, per comprare un etto di prosciutto o farti sistemare una pratica all’ufficio postale, devi interagire. Quindi il tuo cervello non ha scelta: o impara o muore.
Ma adesso il cervello ha una scelta: si chiama Internet.
Come ho già detto, noi cerchiamo massimo risultato col minimo sforzo. Risparmiare energia (e sofferenza) è uno degli istinti base dell’Uomo. Internet ha dato alle persone che si stavano affacciando al mondo, nel loro momento più critico – il lancio – un’alternativa, o meglio, un surrogato. Ha dato ai pulcini una comunità di altri pulcini. All’improvviso la spinta propulsiva primaria, che era l’evoluzione per l’interazione, è scomparsa. I pulcini stavano già interagendo con altri loro simili che avevano le stesse paure, gli stessi dubbi, le stesse insicurezze.
All’inizio va tutto bene. Guardi altri spiccare il volo ma tu hai la tua comunità con cui interagire, e lì dentro sei integrato. Ma poi il tempo passa. Poi una parte del tuo cervello comincia a dirti con sempre più insistenza che sei in ritardo, che stai sbagliando qualcosa. Allora tu ti ficchi ancora più dentro quella comunità; crei codici, linguaggi interni, sigle, tutto il campionario delle sette. Ma come le sette, non basta. Per formare un gruppo serve un nemico, e va bene uno qualsiasi.
L’uva che non era ancora matura, per esempio.
Non esistono “incel”. Sono persone che stavano attraversando un momento difficile e forse per scelta, forse per fatalità, sono finite in uno scannatoio credendolo la sala d’attesa di un aeroporto. E non ne usciranno facilmente, perché le pseudocomunità – cioè quelle dove tutti hanno qualcosa in comune – creano un’assuefazione feroce. Il mondo nello schermo diventa più vivo, interessante, stimolante e sicuro di quello alla finestra, che però va avanti senza di te.
Anche se passi le giornate a commentarlo, odiarlo, criticarlo e giudicarlo, quello va avanti senza di te. E fidatevi: è atroce vivere ai margini. Con lo stesso principio della droga, sai di essere un drogato, e quello diventa un motivo in più per drogarti e non pensarci. Finché reagisci o esplodi.
Darwin dice che l’evoluzione viene dall’adattamento.
Se fai in modo di non doverti adattare, non evolvi.
Se si guardano i tizi come Elliot non sono mostri. Sono ragazzi normalissimi, con tratti somatici interessanti. Gli sarebbe bastato restare nella comunità reale per costringersi a evolvere, non gli sarebbe servito nulla di che. Alimentazione decente, due casse d’acqua da sollevare in camera, una sbarra inchiodata al muro per tirarsi su, trenta euro di barbiere. Volendo, un giro ai mercatini dell’usato o a rubar roba alla Caritas.
Imparare come parla quello, come cammina l’altro, come flirta tizio, dove va tizia. Imparare a prendersi i no, poi i forse, poi i no, poi i sì. Parlare con altri con più esperienza, invece di dargli un’etichetta apposta per tenerli alla larga. Invece di rimanere nella pseudocomunità in cui tutti si credono mostri, si riconoscono come tali, si raccontano come tali, e alla fine esplodono.
Neonazismo, maschilismo, tradizionalismo, razzismo, Islam, neocattolicesimo, è tutto finto. Sceriffate da paese per dare dignità a un tossicodipendente, nobiltà alla banalità, dignità a chi sta in mutande. E come corollario, benzina ai giornalisti di Repubblica che stanno ancora cercando i 200 insulti al giorno alla Segre.
Chi deride gli Incel non ha capito niente.
Chi li crede neonazisti non ha capito niente.
Chi non si rende conto che questo difetto di Internet è destinato a creare problemi e isolamento maggiore, verrà smentito a breve e molto male.