La crisi dello Stato-Nazione

Pubblicato il 4 Marzo 2010 alle 22:41 Autore: Fabio Ronchi
La crisi dello Stato-Nazione

L’imporsi del fenomeno della globalizzazione, costituendo un grande mercato mondiale, finisce per determinare una crisi di potere da parte degli Stati nazionali, che assistono al lento, ma inesorabile diminuire della loro capacità  di controllo sulla sfera economica.

 

[ad]Il vero interrogativo da porsi è se i paesi più benestanti saranno in grado di rispondere alla sfida economica trovando nel contempo un equilibrio con le esigenze di coesione sociale e di libertà politica che appartengono agli ideali della civiltà occidentale.

 

Riuscire a far quadrare il cerchio tra crescita economica, società civile e libertà  politica è certamente un compito universale, ma pensare che tutti perseguano questo obiettivo, o anche solo si impegnino a perseguirlo, in questi termini, è un’illusione.

 

Il potere dello Stato nazionale vede di giorno in giorno sgretolarsi le precedenti certezze: il capitale finanziario sfugge progressivamente al controllo del fisco, il mondo del lavoro e il valore della moneta vengono determinati da fattori economici internazionali, i possibili rimedi per la correzione di queste distorsioni vengono affidate allo sviluppo di organismi internazionali che possono esercitare un maggior controllo sui mercati.

 

Agricoltori, mercanti, banchieri, e successivamente anche imprenditori e industriali, hanno operato nell’orbita dei governi nazionali per diversi secoli. Le dimensioni e le tecniche utilizzate consentivano lo svolgimento dell’attività economica nell’involucro dello Stato. Esisteva, quindi, un equilibrio tra Stato ed economia dove il primo estendeva la sua sovranità fin dove arrivavano le transazioni della seconda. Nella maggior parte delle attività economiche i confini dello Stato e del mercato combaciavano.

 

Questo assetto è durato a lungo negli Stati-nazione, ma i primi segnali di cedimento possono essere individuati a cavallo della prima guerra mondiale, quando le cause del conflitto vengono indicate in tre fattori: la potenza raggiunta dai gruppi industriali; la forza acquisita dai sindacati dei lavoratori e l’affermazione dei poteri ultrastatali a livello internazionale.

 

La lacerazione tra Stato ed economia diventa più profonda con la seconda guerra mondiale dove il maggior prodotto di questa è la liberalizzazione del commercio dei beni e delle monete. Ormai, la dimensione statale e la dimensione dell’economia divergono, le attività economiche si de-territorializzano, spiazzando i governi nazionali. Con la possibilità  di scegliere il luogo dell’investimento, lo Stato perde anche il controllo degli investimenti privati e la parte più nobile dell’economia, cioè la finanza, che si sottrae al controllo di un solo Stato.

 

La perdita di sovranità dello Stato si concretizza anche nel fatto che le sue decisioni ormai sono influenzate da quelle di altri governi nazionali. La mondializzazione del mercato fa emergere una reciproca interdipendenza delle economie dei vari Stati, per esempio, la politica di bilancio deve fare i conti con l’andamento dei prezzi petroliferi: è sufficiente ricordare gli effetti dei due shock petroliferi del 1973 e del 1977 sui bilanci dei paesi occidentali.

 

I segni di decadenza dello Stato-nazione sono molto evidenti: esso è insidiato dall’alto (la mondializzazione dell’economia e il sorgere di aggregazioni multinazionali come l’Unione Europea) e dal basso (la crisi di Stati come l’Unione Sovietica, la Jugoslavia ed anche il Canada; le spinte regionalistiche molto forti, rappresentate ad esempio in Italia dalle Leghe). Lo Stato-nazione viene, inoltre, minacciato al suo interno dalla «deregulation» e dalla contestazione del «welfare state».

 

Dopo quattro secoli “abbondanti” in cui lo Stato-nazione ha dominato tutte le forme associative minori, con la staticità della sua imponente presenza e l’unitarietà delle sue istituzioni, lo Stato incontra ormai evidenti, enormi, insormontabili difficoltà nel continuare a svolgere i compiti che ha assunto in passato, soprattutto sul terreno economico e della soddisfazione dei bisogni.

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[ad]Oggi, a causa delle sue grandi dimensioni, lo Stato non è più in grado di soddisfare le sempre più diversificate esigenze dei cittadini: esigenze che, sospinte dall’incoercibile capacità inventiva delle nuove tecniche produttive, si moltiplicano e si specializzano in tutti i settori e a tutti i livelli, disobbedendo a qualsiasi pretesa di appiattimento e uniformità. La crescente varietà di esigenze rivendicata dai cittadini può essere fronteggiata soltanto da strutture politico amministrative incomparabilmente più articolate e diversificate di quelle dello Stato moderno tradizionale.

 

Per scongiurare una crisi che appare ormai irreversibile, lo Stato-nazione deve trovare un nuovo equilibrio tra la cessione di sovranità verso l’alto, alle organizzazioni sovranazionali come l’Unione Europea, e verso il basso con architetture istituzionali più vicine al cittadino.

La crisi dello Stato-Nazione

In virtù  dei cambiamenti in atto nell’economia globale, accanto alla tutela offerta dall’ente sovranazionale, lo Stato-nazione può individuare in una configurazione di natura federale la risposta strategica più adatta per affrontare le sfide che il prossimo futuro ci riserva.