Si parla spessissimo, nelle notizie di cronaca giudiziaria, di patteggiamento e di imputati che ne fanno richiesta, ma non sempre sono chiariti contestualmente i tratti essenziali di esso. Vediamo allora in sintesi come funziona e qual è lo scopo di tale istituto nei procedimenti penali.
Patteggiamento: che cos’è e dove è disciplinato
Tale procedura trova la sua regolamentazione normativa nel Codice di Procedura Penale, dagli articoli 444 e seguenti di tale testo.
Il patteggiamento, detto anche “applicazione della pena su richiesta delle parti“, tecnicamente è definito un procedimento speciale alternativo al rito ordinario in tribunale (quel rito che comprende anche il dibattimento e quindi il processo vero e proprio), che permette all’imputato di individuare un accordo preliminare con la Procura o pubblico ministero, sull’ammontare della pena da subire.
In buona sostanza, l’imputato decide di privarsi della difesa del suo avvocato nel corso del dibattimento e di non contestare l’accusa, per poter così aver un premio, rappresentato dallo sconto di pena (pecuniaria oppure detentiva). È chiaro che oltre a poterci in qualche modo “guadagnare” l’imputato, ne trae beneficio la macchina della giustizia, in quanto i tempi processuali, in caso di patteggiamento, sono molto ridotti.
Come funziona? I casi di esclusione
In pratica e in estrema sintesi, imputato e il pubblico ministero, una volta trovata una convergenza sull’opzione del patteggiamento, possono richiedere al giudice incaricato che sia applicata una sanzione sostitutiva o una pena pecuniaria, diminuita fino a un terzo, oppure una pena detentiva se quest’ultima, tenuto conto di tutte le circostanze e diminuita fino a un terzo, non supera i cinque anni, da soli o uniti a pena pecuniaria.
Ma non sempre può valere l’accordo del patteggiamento, ovvero: quando la legge lo esclude a priori? È escluso se ricorre una delle seguenti e tassative circostanze:
- procedimenti per terrorismo;
- procedimenti per delitti di criminalità organizzata;
- procedimenti verso taluni reati contro la libertà sessuale o la personalità individuale;
- procedimenti gravanti su delinquenti professionali, per tendenza, abituali o plurecidivi, che sono imputati per reati puniti con detenzione sopra i due anni;
- procedimenti presso il giudice di pace;
- procedimenti minorili.
Come sopra accennato, affinché possa concedersi patteggiamento, è necessario un accordo tra imputato e pubblico ministero, riguardante la mole della pena da subire per il reato contestato. Il solo accordo però è condizione necessaria ma non sufficiente: occorre anche e soprattutto il vaglio del giudice penale, chiamato a decidere sulla causa.
Ovvero il magistrato sarà tenuto ad esaminare nel dettaglio i presupposti di applicabilità dell’accordo e se davvero, alla luce delle risultanze emerse, sia possibile concedere il patteggiamento. Se è vero che tale iter limita il diritto di difesa in giudizio (dato che l’imputato rinuncia, ad esempio, al diritto alla prova e al contraddittorio), è altrettanto vero che l’imputato ottiene degli indubbi vantaggi.
La rilevanza del vaglio finale del giudice competente
Oltre allo sconto di pena sopra menzionato, il patteggiamento comporta, per i reati meno gravi, che l’imputato sia liberato dal dovere di pagare le spese processuali e non sia sottoposto a sanzioni accessorie e misure di sicurezza (a parte la confisca). Inoltre, in linea generale, è prevista l’assenza di pubblicità e la non menzione della sentenza nel certificato generale del casellario giudiziale.
Tuttavia, prima il PM dovrà valutare se sussistono gli estremi della redazione dell’accordo, e poi il giudice penale dovrà vagliare se sussistono gli estremi per accettare quanto pattuito da imputato e PM nell’accordo.
Il PM, in particolare, dovrà prestare attenzione agli elementi che emergono dalle indagini, alla qualificazione giuridica del fatto di reato, alla sua gravità e a possibili cause ostative rispetto al patteggiamento (come la personalità dell’imputato). Concludendo, è chiaro che valutazione più delicata sarà quella compiuta dal giudice penale, il quale dovrà in concreto capire se davvero la richiesta di patteggiamento (e il correlato accordo delle parti) è ammissibile, verificando – tra l’altro – che non rilevino eventuali cause di non punibilità, che la qualificazione giuridica data al fatto sia corretta e che la pena sia proporzionata alle dinamiche dello stesso fatto.
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