Il coronavirus e gli italiani, ed è subito commedia anni ’50

Pubblicato il 2 Marzo 2020 alle 19:03
Aggiornato il: 25 Marzo 2020 alle 23:39
Autore: Nicolò Zuliani

Come diceva quel film, la truffa trova sempre una strada

Il coronavirus e gli italiani, ed è subito commedia anni ’50

Negli ultimi giorni abbiamo visto l’isteria, poi il dietrofront più compatto e inaudito dei media italiani. Ma a voler guardare le storie piccole, il Coronavirus ci ha regalato commedie da grande cinema italiano che Pietro Germi, Ettore Scola, Nanni Loi avrebbero saputo raccontare magistralmente. Perché il nostro sarà pure un popolo di santi, poeti e navigatori, sarà pure privo di memoria storica, ma l’eco di quel HO NE STÁ gridato all’insediamento della giunta Raggi è ancora vivo nelle nostre orecchie; i migliaia di truffatori del reddito di cittadinanza non sono bastati a cancellare quel desiderio di onestà che permea il nostro popolo.

Il coronavirus, a quanto pare, sì

Prendiamo la storia di un drogato che va a comprare la cocaina con la mascherina perché ha paura del coronavirus: qual è la storia di un uomo che non ha paura di sniffare sostanze arrivate nel retto di un trans brasiliano, ma teme il morbo? Oppure questa: un vecchio al supermercato va alla cassa e dice di essere contagiato per fuggire senza pagare. Un altro 72enne va a fare rapine in farmacia con pistola giocattolo e mascherina; non sappiamo se abbia detto “o l’Amuchina o la vita” ma ci piace pensarlo.

Da truffatori diventano truffati: alla porta dei vegliardi si presentano ladri che dicono di dover fare il tampone per il coronavirus e svuotargli l’appartamento. Via mail gli arrivano deliranti proclami di una fantomatica dottoressa dell’OMS che chiede di aprire un allegato.

E chissà come sta quel principe nigeriano che voleva donarmi milioni.

Non possiamo trascurare la storia dei 22 “imprenditori” che millantano di avere trovato la mascherina di protezione definitiva e la vendono online a 5000 euro, oppure una donna che a Genova passa col rosso, viene beccata dai vigili e lei grida di essere infetta con tanto di chiamate al 118. Uno spacciatore appena arrestato tenta di fuggire dicendo di essere stato a Codogno manco fosse Raccoon city.

Menzione speciale a uno studente che tenta di rescindere il contratto di affitto “causa coronavirus”. Dei geni fanno delle pastine a forma di virus, lo chiamano “Coronavirus al caffè” e incassano cifre notevoli. Insomma, il nostro popolo si è adattato in fretta all’emergenza facendo quello che sa fare meglio.

“Aò se famo sempre riconosce”, dice il mio portiere al bar, in orario di lavoro.

Si potrebbe definirli sciacalli, ma a livello filosofico c’è qualcosa di più

Si sa che delinquenti e disonesti non brillano d’intelligenza, eppure in questo tramestìo illegale, in questo saper trasformare il peggior spauracchio dell’occidente in un metodo per rubare a destra e a manca, ha una sua poesia. Se la passassero liscia sarebbe solo squallido, ma l’arresto rende queste storie le uniche performance art degne di essere viste.

In questi mesi di panico e follia, leggere queste storie mi fa ritrovare il genio e l’ottusità, l’anarchia e il contenimento, il coraggio e l’idiozia di un popolo irredento, indomito, incredibile. Crichton disse che la vita trova sempre una strada, ma in Italia la truffa trova sempre un modo. E per fortuna o purtroppo, non so se esserne depresso o divertito.

Come Gaber, del resto.

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L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
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