Super Tuesday 2020: risultati, affluenza e chi ha vinto
Aggiornamento 4 marzo ore 17.00
Il Super Tuesday ha definitivamente dato corpo alla candidatura di Joe Biden a Presidente degli Stati Uniti per il Partito Democratico. L’ex vice di Obama ha battuto Bernie Sanders in 9 (Alabama, Arkansas, Massachussetts, Minnesota, Oklahoma, Tennessee, North Carolina e Virginia) dei 14 stati in cui si sono svolte le primarie del Super Martedì. Tra l’altro, Biden potrebbe superare il senatore del Vermont anche in Texas, che assegna più di 200 delegati, e nel Maine (mentre Sanders, come da pronostico, dovrebbe conquistare la California, che assegna oltre 400 delegati, che si aggiungerebbe a Colorado, Utah e Vermont). Secondo le previsioni, alla fine, Biden dovrebbe conquistare 650 delegati e Sanders 580 (sempre stando alle proiezioni il primo dovrebbe aver preso 5,3 milioni di voti, 4,9 milioni il secondo).
Un successo quello di Biden che fino a una settimana fa nessuno si sarebbe aspettato: travolto Micheal Bloomberg – potrebbe aver vinto solo nelle Samoa americane, neanche uno stato solo un territorio non incorporato – che ha appena annunciato il ritiro e l’endorsement proprio a favore di Biden. Presto dovrebbe comunicare l’abbandono della corsa verso la nomination anche Elizabeth Warren che nel proprio stato, il Massachusetts, è arrivata terza.
Oggi negli Usa si tiene il cosiddetto Super Tuesday: è un momento decisivo nel percorso verso la nomination dei candidati che ambiscono alla Casa Bianca. Quest’anno coinvolge 14 stati e le Samoa Americane, un “territorio non incorporato”. Se nel Partito Repubblicano nessuno – di fatto – disturba la ricandidatura di Trump, è ancora tutto da scrivere il destino del Partito Democratico.
Super Tuesday: di cosa si tratta?
Il Super Tuesday, come si diceva, è tradizionalmente uno dei momenti più importanti della corsa verso la nomination presidenziale: visto che non è in dubbio la ricandidatura di Donald Trump per i Repubblicani (il suo unico sfidante è l’ex governatore del Massachusets Billy Weld che, però, ha probabilità di spodestare il Tycoon vicine allo zero), questa volta, l’appuntamento è fondamentale, soprattutto, per i Democratici.
Infatti, a seguito delle votazioni si assegnerà un terzo dei delegati, sostanzialmente, coloro che al momento della convention finale dei due maggiori partiti Usa, che si terrà in estate, votano il candidato alla Casa Bianca. Per essere ancora più chiari: un candidato Democratico per ottenere la nomination deve conquistare 1.991 delegati su 3.979, sono 1.344 quelli che vengono eletti in occasione del Super Tuesday.
Quest’ultimo esiste – almeno in questo formato – dal 1988, quando i Democratici scelsero di tenere le primarie in nove stati lo stesso giorno; nel medesimo anno anche i Repubblicani aderirono alla consuetudine. Da quell’anno in poi, il “vincitore” della tornata per entrambi i partiti è sempre stato anche il candidato Presidente: per esempio nel 2016, sia Hillary Clinton che Donald Trump, in pratica, si guadagnarono la nomination grazie al vantaggio acquisito nelle votazioni del Super Martedì.
In quali stati si vota?
Il Super Tuesday coinvolge, oltre al collegio dei democratici all’estero, 14 stati americani più il territorio non incorporato delle Samoa americane. Da precisare che più uno stato è popoloso più delegati assegna, ecco dove si vota: California (415 delegati), Texas (228), North Carolina (110, Virginia (99), Massachusets (91), Minnesota (75), Colorado (67), Tennessee (64), Alabama (52), Oklahoma (37), Arkansas (31), Utah (29), Maine (24), Vermont (16), Samoa Americane (6). Da precisare che eleggono 13 delegati i Democratici all’estero, d’altra parte, il conteggio delle loro preferenze durerà diversi giorni.
Lo stato dove chiuderanno prima le urne è il Vermont, alle 19, cioè l’una di mercoledì 4 marzo in Italia, l’ultimo la California dove chiuderanno invece alle 23 locali, le cinque del mattino italiane. Dunque, per avere dei risultati più o meno definitivi si dovrà aspettare almeno la tarda mattinata di domani.
Il sistema di voto
Ora, I delegati vengono assegnati con un sistema misto che si basa sul numero dei voti che i candidati ottengono a livello statale e a livello distrettuale: perché scatti l’assegnazione bisogna prendere più del 15% in tutto lo stato o superare questa soglia in un distretto. Insomma, non basta guardare le percentuali complessive per capire quanti delegati saranno assegnati ai vari competitor.
Super Tuesday: chi sono i candidati?
Questi, attualmente, sono 5, dopo i ritiri di Tom Steyer, Pete Buttgieg e Amy Klobuchar: si tratta di Bernie Sanders, Joe Biden, Michael Bloomberg, Elizabeth Warren e Tulsi Gabbard. Il primo è ancora favorito anche se molti esperti rimangono scettici sulle sue possibilità di conquistare la nomination potrebbe trionfare anche in Texas oltre che in California (il che renderebbe quasi impossibile strappargli la nomination), il secondo – dopo una partenza deludente – ha distaccato Sanders di una trentina di punti alle ultime votazioni in South Carolina (appoggiato dagli afro-americani – indirizzati anche da deputati Dem di “alto rango” e grosso seguito come James Clyburn – che tanto aveva corteggiato Sanders), infine, il terzo è il grande atteso del Super Tuesday che sancisce anche il suo esordio nella corsa alla nomination.
Posto questo bisogna considerare che, dopo l’abbandono, Buttgieg e Kobuchar, insieme a Beto O’Rourke ritiratosi ormai molti mesi fa, hanno prontamente dichiarato il proprio sostegno a Biden. L’ex vice di Obama sembra a tutti gli effetti l’anti-Sanders designato dall’establishment del partito – ma anche da certa stampa legata ai Democratici – contrario alla nomination del senatore del Vermont per le sue posizioni giudicate, a dir poco, troppo sbilanciate “a sinistra”: lo scettro a questo punto potrebbe passare a Bloomberg. Non è da escludere però che l’ex sindaco di New York raccolga un risultato molto al di sotto delle aspettative in questo Super Tuesday: a detta di alcuni è stato completamente sopraffatto da Elizabeth Warren durante il dibattito precedente alle primarie in Nevada (anche se secondo molti esperti anche la Warren è destinata a ritirarsi molto presto).
È chiaro che in seguito a un eventuale ritiro di Bloomberg (e della Warren) il consenso del fronte anti-Sanders si concentrerebbe ancora di più su Biden in vista della nomination finale: a quel punto l’ipotesi di una brokered convention – un vero e proprio stallo – avanzata da alcuni analisti diventerebbe concreta. Se alla fine vincesse Sanders il Partito Democratico si troverebbe con un candidato Presidente a dir poco “divisivo” e pronto – almeno a quanto afferma – a fare piazza pulita dei vertici del partito, in parallelo, non mancherebbero i problemi in caso di vittoria di Biden.
Non sono pochi, d’altro canto, quelli che gli ricordano costantemente i problemi causati dagli affari del figlio Hunter in Ucraina (e l’esposizione a cui andrebbe incontro in un “corpo a corpo” con Trump sull’argomento), inoltre, lo stesso Biden è stato protagonista di diverse evidenti gaffe ai microfoni e davanti alle telecamere dei media tanto che, anche tra i suoi sostenitori, sono sorti dei dubbi rispetto alle sue effettive condizioni di salute (altro argomento che in una campagna elettorale per la Casa Bianca riveste un’importanza fondamentale). Una suggestione vorrebbe addirittura Biden pronto a ritirarsi all’ultimo miglio per consegnare i suoi delegati a una rediviva Hillary Clinton. Per concludere con una battuta: i Democratici appaiono sull’orlo di una crisi di nervi.
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