In un suo intervento pubblicato su IlSussidiario, Giuliano Cazzola riporta alcune cifre legate a pensioni e pensionati e ovviamente non può neppure mancare un riferimento a Quota 100, al centro delle discussioni sul tema previdenziale negli ultimi giorni, visto che governo e sindacati si stanno confrontando su quale misura andrà a sostituire la pensione anticipata transitoria che scadrà il 31 dicembre 2021 e che potrebbe, senza essere degnamente sostituita, creare uno scalone di 5 anni.
Pensioni ultime notizie: un po’ di numeri su pensioni e pensionati
Dopo aver insistito sulla distinzione tra numero delle pensioni e numero dei pensionati, Cazzola prende spunto dal settimo rapporto del Centro Studi di Itinerari professionali, snocciolando alcuni dati relativi al 2018 relativi alle pensioni e alla spesa complessiva sostenuta. In particolare, le pensioni erogate nel 2018 sono state 22.785.711, e la spesa complessiva sostenuta corrisponde a più di 293 miliardi di euro, sulla base di un importo medio annuo di 12,8 mila euro. “I pensionati”, spiega l’economista, “in quello stesso anno, risultavano essere poco più di 16 milioni (in diminuzione rispetto all’anno precedente), con un importo medio annuo del reddito pensionistico pari a 18,3 mila euro”.
La spesa pensionistica al netto delle imposte corrisponde a 241,8 miliardi di euro, mentre l’importo medio dei trattamenti, sempre al netto delle imposte, equivale a 15,1 mila euro.
Pensioni ultime notizie: la spesa pensionistica ai tempi della crisi
Analizzando il rapporto tra pensione media e reddito medio, si nota che dopo una fase in cui l’equilibrio è rimasto costante, a partire dal 2008, ovvero l’anno di inizio della crisi, questo ha subito un considerevole incremento. In pratica, “i trattamenti pensionistici hanno continuato la loro dinamica derivante da metodi di calcolo che, incorporando una lunga parte di carriera, sono slegati dall’andamento congiunturale del momento”.
Sempre i dati riportano che nella fase iniziale, “la quota della spesa pensionistica sul totale della spesa pubblica era ancora al di sotto del 30%, ma aveva un tasso di crescita medio annuo di gran lunga superiore a quello delle altre principali voci di spesa”. Dal 1998 e fino al 2007, il peso della spesa pensionistica è salito mediamente al 32%, ma subendo le conseguenze delle riforme, “ha cominciato a registrare variazioni più basse rispetto sia alle altre prestazioni sociali sia all’insieme della spesa corrente al netto degli interessi passivi”.
Durante la crisi economica, parallelamente a misure di contenimento finalizzate a stabilizzare il debito pubblico, “l’aumento inerziale della spesa previdenziale ha determinato una situazione diversa in cui pensioni e altre prestazioni sociali sono aumentate più rapidamente rispetto al resto della spesa e delle retribuzioni pubbliche”.
Infine, a partire dal 2014, una volta superata la fase acuta della crisi, Cazzola spiega che “vi è stata un’accelerazione delle altre spese sociali”, ma “la spesa per pensioni è rimasta pressoché allineata alla dinamica della spesa complessiva, con una variazione che è andata poco aldilà di quella delle retribuzioni dei dipendenti pubblici”.
Dall’analisi effettuata ne consegue che “mentre le misure di politica economica adottate nelle diverse fasi congiunturali si riflettono in modo relativamente rapido sulle voci di spesa corrente, gli interventi miranti a contenere la crescita della spesa pensionistica hanno soprattutto effetti nel medio/lungo termine, essendo la spesa stessa in larga parte condizionata dal quadro normativo presente”.
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Pensioni ultime notizie: Quota 100 lascia “un segno strutturale”
In questo modo, secondo l’economista, “la valutazione degli effetti della riforma Fornero del 2011” rischia di essere “superata prima ancora di aver dispiegato gli effetti previsti sul contenimento della spesa”. Le misure che sono intervenute sulla legge Fornero, come ad esempio le 8 salvaguardie per gli esodati, ma anche i correttivi attuati da Quota 100 e dal congelamento al 2026 dei requisiti di accesso all’età pensionabile “si avviano a lasciare un segno di carattere strutturale nell’intero sistema pensionistico”, e il confronto tra governo e sindacati ne è un esempio lampante.
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