Per costruire quella specie di Las Vegas del sesso, l’imprenditore italiano non aveva badato a spese. Chiasso era a due passi dal confine, e l’intuizione brillante veniva da una grande esperienza pregressa. Bordelli e club per scambisti sono squallidi, ci entra gente squallida e si degradano da soli in poco tempo, finendo deserti. Era come se nel settore alberghiero esistessero solo i bed and breakfast abusivi, così lui aveva inventato il Grand Hotel.
L’alcova – così si chiamava – era un palazzo di sei piani zeppi di tappeti, boiserie, SPA, mobili d’antiquariato, il terzo piano interamente dedicato alla ristorazione con piano bar e ristorante 24/7, cuoco rinomato, liquori ricercati e musica dal vivo. Le ragazze venivano selezionate per aspetto, provenienza, età e bravura – anche se le italiane avevano un corridoio preferenziale – e avevano a loro disposizione l’ultimo piano per i loro alloggi. Tra passaparola e inviti, la sola inaugurazione gli aveva fatto incassare un quarto del budget necessario a costruirlo.
Poi era arrivata la quarantena.
La polizia ticinese era arrivata alle cinque di mattina di lunedì con tuta hazmat e poche parole. Sei uomini avevano transennato gli ingressi e intimato agli inquilini di restare lì dentro, poi si erano messi di guardia. Sette donne e tre uomini si erano svegliati sotto sequestro di un paese straniero, e al telefono la Farnesina aveva risposto che il ministro degli esteri stava facendo il possibile.
La sera, sui siti d’informazione, avevano visto Di Maio sorridere in TV mostrando la pizza della pace con i francesi, e avevano capito che non sarebbero arrivati i GIS a salvarli con gli elicotteri. Erano dieci sconosciuti che potevano solo stare alla finestra a guardare il mondo ammalarsi, o scoprire di essere già contagiati. La natura umana porta a considerare i problemi personali come fossero globali, e viceversa. Ognuno di quelle dieci persone forse si portava dall’Italia un morbo, ma di sicuro aveva problemi più urgenti del proprio trapasso.
Mentre dal terzo piano Gaia accennava al pianoforte un traballante allegretto di Schubert, al piano di sotto Guido metteva in fila su un divanetto le ultime sette sigarette rimaste, al sesto Maria pagava 0,99 centesimi per comprare un mobile virtuale con cui arredare la sua casa virtuale, al piano terra Franco Q. era seduto sul WC a fissare l’ultimo Xanax nel pacchetto, al quinto Elettra urlava dentro l’enorme piscina della SPA per non farsi sentire da Francesca, al primo Jackson camminava su e giù attaccato al cellulare senza che nessuno rispondesse, Pamela lavorava su Photoshop per sovrapporsi a un’immagine delle piramidi, Xeni in cucina strapazzava tre uova così forte da farle schizzare fuori dalla ciotola senza che le importasse, Rosa era ferma sulle scale e fissava con odio una vecchia pendola restaurata, i cui rintocchi le facevano digrignare i denti.
Poi arrivò Francesca.
L’idea di conoscersi e raccontarsi delle storie veniva dalla sua mai sfruttata conoscenza letteraria, e di ricalcare il Decamerone pochissimi avevano voglia. Francesca, però, aveva buoni argomenti per convincere gli ospiti e le dipendenti. Erano tutti di bassa moralità e con una sessualità interessante, erano pieni di viveri, liquori e tabacco; e avere qualcosa su cui lavorare avrebbe fatto passare il tempo prima. La realizzazione era semplice: ogni giorno, ognuno di loro, doveva raccontare una storia – personale o meno che fosse – su un tema deciso dal re o dalla regina del giorno, che sarebbe stato eletto a turno in ordine alfabetico. Quando Guido domandò chi glie l’avrebbe fatto fare, Francesca allargò le mani: per quindici giorni, chi voleva mangiare, bere o avere compagnia avrebbe pagato in natura.
Guido guardò fuori, guardò la scollatura di Rosa e notò come stava bene accoccolata in grembo a Gaia, e pensò che se quelli erano gli ultimi giorni della sua vita, tutto sommato gli era andata bene.
Le storie sarebbero state raccontate a cena, ogni sera, dopo un menu e un cocktail a tema, sempre decisi dal re o dalla regina che l’avrebbe dichiarato alla fine del pasto, per evitare furbizie o aiuti.
La prima era Elettra.