Prima di mettere sotto sequestro il conto corrente di un pensionato è necessario verificare il saldo rimasto e verificare la pignorabilità o meno delle somme percepite a titolo di retribuzione o pensione. Se l’assegno pensionistico percepito presenta un importo inferiore rispetto al minimo vitale, allora il sequestro penale preventivo risulta illegittimo. È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8822/2020, che ha deciso così per la restituzione a una signora di un libretto di deposito a risparmio e per l’annullamento del sequestro preventivo. Rientra dunque anche per questo tipo di prodotti la disposizione contenuta nell’art. 545 del c.p.c., relativo ai crediti impignorabili.
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Qui troviamo scritto quanto segue: “Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell’assegno sociale, aumentato della metà”. Una norma finalizzata a salvaguardare il mantenimento del minimo vitale per il pensionato (o il lavoratore): nel caso preso in esame dalla Cassazione, infatti, la titolare del libretto percepiva una somma inferiore al triplo dell’assegno sociale.
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La Cassazione ha pertanto decretato che al sequestro penale preventivo si applicano i limiti contenuti nell’art. 545 del codice di procedura civile. Il saldo in questione percepito dalla signora ammontava infatti a 439,59 euro e la Corte ha ribadito che l’orientamento giurisprudenziale riguardante i limiti di credito impignorabili si applicano anche sul tema del sequestro penale preventivo. In merito alla documentazione, sarà sufficiente la causale del versamento. Perciò non vale il principio secondo il quale una volta effettuato l’accredito, le somme vanno a confondersi con il patrimonio complessivo del depositario.
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