Vediamo di seguito l’istituto della mediazione civile, introdotto in Italia dal d. lgs. n. 28 del 2010. Si tratta di uno strumento di risoluzione delle liti tra privati, che ha una matrice anglosassone: il positivo utilizzo in paesi come USA e Inghilterra è stato infatti d’impulso alla sua disciplina normativa anche in Italia. Facciamo allora chiarezza in merito e vediamo come funziona e quando è possibile rifiutarla.
Mediazione civile: cos’è e come funziona
Come accennato, in Italia la mediazione civile è stata prevista con un decreto legislativo del 2010, che ha incluso molteplici novità, anche in relazione al già esistente istituto della conciliazione. Con tale provvedimento, è stata infatti distinta una volta per tutte la cosiddetta “mediazione civile“, ovvero un iter mirato a trovare una soluzione ad una lite tra privati al di fuori dal tribunale, dalla cosiddetta “conciliazione“, ovvero l’esito o il risultato di tale iter. Si parla comunemente infatti di “accordo di conciliazione“, laddove al termine della procedura, il mediatore riesca a trovare un compromesso tra i differenti interessi delle parti. Per completezza, ricordiamo ancora che, secondo la legge italiana, la conciliazione formalmente può essere:
- affidata ad un giudice, all’interno di un processo in tribunale vero e proprio;
- oppure può essere affidata ad un conciliatore, detto anche mediatore, laddove si tratti di conciliazione extragiudiziale.
Ed è proprio quest’ultima, la procedura che qui rileva. A questo punto però la domanda è legittima: chi è il mediatore o conciliatore?
Egli altro non è che una figura terza ed imparziale, facente parte di uno dei tanti organismi di conciliazione accreditati dal Ministero di Giustizia e regolarmente iscritti in Italia nell’apposito registro (qui l’elenco degli organismi suddivisi per regione, alla voce “ricerca”). Tale mediatore – detto anche conciliatore perché appunto mira ad assistere le parti in lite (anche più di due) per addivenire ad un accordo bonario ed amichevole che risolva la controversia – è un professionista qualificato. In buona sostanza, pur non essendo un magistrato, è formato in materia di mediazione e tecniche di risoluzione alternativa delle controversie, ha sostenuto un corso ad hoc ed ha superato il relativo esame. Inoltre, ha svolto un periodo di tirocinio formativo sul campo. Tutta la procedura di mediazione civile avverrà al di fuori delle aule giudiziarie, con l’assistenza dei rispettivi avvocati, con un risparmio di tempi e costi per i cittadini, e con un minor aggravio per la macchina giudiziaria stessa, già oberata a tantissime cause complesse e di valore economico elevato.
Si può rifiutare la mediazione? quando è obbligatoria?
C’è chi magari pensa che, essendo ad esempio in lite con il vicino di casa, possa trovar più piena giustizia in una sentenza del giudice competente, invece che in un atto del mediatore. In effetti la legge non impone la conciliazione come sbocco forzato di una controversia tra privati. In altre parole, la parte invitata all’incontro di mediazione insieme all’altra parte o alle altre parti, può decidere di sottrarsi alla procedura e non collaborare. D’altra parte, anche la parte che attivato la procedura può pervenire, magari in un secondo tempo, alle stesse conclusioni.
Insomma in una qualsiasi mediazione, due possono essere le strade:
- la persona invitata, o “chiamata alla mediazione”, può da subito rifiutare di servirsi della mediazione, per tentare di raggiungere una soluzione che soddisfi tutte le parti in lite;
- oppure la persona invitata dà l’ok allo svolgimento della procedura e il mediatore – di solito nell’ambito di più incontri in date diverse – assiste e supporta le parti per cercare di individuare un accordo per entrambe.
Nel primo caso, il mediatore dovrà redigere senza indugio un verbale di esito negativo, con cui chiude l’iter in anticipo. In queste circostanze, alla parti non resterà che la via giudiziaria, per veder riconosciute le proprie ragioni. Nel secondo caso, il mediatore dovrà metter in campo tutte le sue competenze e dovrà essere capace quindi di “mediare”, mettendo in condizione le parti di avvicinarsi tra loro e di trovare un punto di incontro tra i rispettivi distinti interessi. Se tale punto di incontro sarà trovato, ne conseguirà un verbale di conciliazione, che varrà per le parti in quanto titolo esecutivo, e che metterà la parola fine alla lite.
Ma in concreto con quali modalità si può rifiutare la mediazione? Ebbene, è possibile rifiutarla non soltanto partecipando al primo incontro e opponendosi alla continuazione dell’iter, ma anche semplicemente non venendo nel luogo designato per la mediazione (solitamente una sede di uno degli organismi sopra citati). In queste ultime circostanze, all’incontro previsto ci sarà il mediatore, la parte (e il suo avvocato), ma non la parte invitata o chiamata.
Quanto detto finora si ricollega alla cosiddetta mediazione civile obbligatoria. Infatti, il legislatore ha previsto il ricorso obbligatorio alla mediazione, o meglio al tentativo di mediazione, per le controversie in materia di: patti di famiglia; locazione e comodato; diffamazione a mezzo stampa o con altro strumento di pubblicità; affitto di aziende; diritti reali; divisione e successioni ereditaria; risarcimento danni per responsabilità medica e sanitaria ed altre rilevanti ipotesi. Insomma, non sono rare le ipotesi di obbligatorietà del tentativo. Al di fuori delle ipotesi citate, la mediazione è meramente facoltativa e può essere liberamente rifiutata.
Concludendo e tornando alla questione iniziale, laddove la materia del contendere sia ricompresa tra i casi di obbligatorietà del tentativo, colui che fa la prima mossa e vuole adire la giustizia ordinaria, deve prima rivolgersi al mediatore e, soltanto in caso di esito negativo, potrà poi varcare le porte del tribunale. Invece, la parte chiamata avrà la possibilità di opporsi alla mediazione obbligatoria, il cui tentativo naufragherà subito, secondo una delle due modalità viste sopra, ovvero presentandosi e non collaborando oppure non rispondendo all’invito a presentarsi dal mediatore.
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