Licenziamento per coronavirus: è legittimo ed è possibile deciderlo?
Licenziamento per coronavirus: è davvero possibile recedere dal contratto e licenziare un dipendente per epidemia? Ecco le ipotesi
A parte l’emergenza sanitaria legata al moltiplicarsi dei casi di coronavirus, proprio in questi ultimi giorni, a tener banco è la questione lavoro e disoccupazione. Infatti – come raccontano i numerosi fatti di cronaca di quest’ultimo periodo – sono tanti i gestori di attività commerciali, turistiche e ristorative, che optano per il licenziamento per coronavirus, non trovandosi di fronte altre alternative, in uno scenario caratterizzato da strade e piazze ormai semidesertiche, locali svuotati e incassi ridotti al lumicino. Cerchiamo però di dare risposta alla seguente domanda: è davvero possibile licenziare un membro del personale a causa dei mancati guadagni, o della mancata attività, per coronavirus? Facciamo chiarezza.
Licenziamento per coronavirus: lo scenario attuale
Abbiamo già parlato più volte dell’argomento licenziamento, stante la sua permanente attualità, ad esempio con riferimento al recesso unilaterale in forma orale, effettuato dal datore di lavoro, oppure con riferimento al licenziamento collettivo o ancora al caso della malattia come causa non idonea a giustificare il licenziamento ed altre volte ancora abbiamo distinto le varie ipotesi di licenziamento per giusta causa, giustificato motivo soggettivo ed oggettivo. Il punto però qui – come anticipato – è un altro: si tratta di capire se una circostanza, per così dire, “speciale” come lo scoppio di un’epidemia provocata da un virus ancora in parte sconosciuto, può considerarsi una valida ragione per licenziare, ad esempio, un cuoco, un commesso o un cameriere, in ragione del fatto che i clienti non entrano più nei locali. Insomma sono ammissibili considerazioni di natura sanitaria e di natura economica, per giustificare un licenziamento per coronavirus? Oppure sono possibili alternative meno gravose?
Ebbene, in questo quadro le imprese italiane si sono trovate e si trovano a dover limitare o azzerare le loro attività, sia a causa dei recentissimi provvedimenti del Governo, sia a causa della crisi del fatturato. Si è parlato della possibilità dello smart-working, ovvero il tele-lavoro da remoto, ma chiaramente soltanto per le professioni dove è praticabile, e si è parlato anche dell’opzione della cassa-integrazione in deroga: tuttavia finora soltanto l’Emilia Romagna ha sottoscritto con le associazioni di categoria ed i sindacati, l’accordo per la cassa-integrazione in deroga, per la durata di almeno 30 giorni. Altrimenti, in questo scenario, non resta che l’utilizzo di ferie e congedi e, terminati questi ultimi, il licenziamento si presenta come un’ipotesi nient’affatto remota.
È davvero possibile licenziare per tale circostanza?
Anzitutto, ci si può domandare se, in tali circostanze, è possibile un licenziamento per coronavirus dovuto alla cosiddetta impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa, non dovuta a dolo o colpa del dipendente, bensì ad un fatto esterno, ovvero una causa di forza maggiore, come un fatto del terzo, un evento naturale o ancora un provvedimento delle autorità. In questi ultimi giorni, tali provvedimenti sono stati in effetti emessi e hanno riguardato svariate attività commerciali o di intrattenimento, sparse sul territorio nazionale. Ne è conseguita la sospensione di tali attività, proprio per impossibilità sopravvenuta della prestazione. Ma i lavoratori in questione (cuochi, camerieri ecc.) hanno comunque diritto alla retribuzione oppure possono anche essere licenziati?
Ebbene, occorre distinguere tra due possibili casi:
- se l’impossibilità sopravvenuta per riduzione o azzeramento dell’attività in oggetto è temporanea ed è stata causata anche da un provvedimento delle autorità, ciò non è valida ragione per licenziare una persona. Allo stesso tempo, però, non sussistono neanche i presupposti – attenendoci all’interpretazione della legge – per percepire la retribuzione, in assenza della prestazione (i provvedimenti di questi giorni hanno tuttavia previsto lo strumento della Cig in deroga, per allontanare il rischio di licenziamento per coronavirus).
- se l’impossibilità sopravvenuta non è temporanea e si protrae nel tempo, si può quanto meno in via teorica, parlare di licenziamento per impossibilità sopravvenuta (causa coronavirus).
Tuttavia, in questa ultima ipotesi, al lavoratore è consentito di opporsi al licenziamento per coronavirus e può quindi impugnare il provvedimento di licenziamento, secondo le forme e i tempi comunemente previsti. Sarà però opportuno che abbia i mezzi per dimostrare che la sua reintegrazione in azienda è di fatto attuabile, anche con la modifica delle mansioni precedentemente svolte.
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: vale in queste circostanze?
Tuttavia, esiste anche la possibilità che il lavoratore sia licenziato per giustificato motivo oggettivo, laddove il datore si renda conto che l’azzeramento totale o quasi totale dell’attività, non consente comunque la prosecuzione del rapporto, anche qualora l’attività riprenda. Infatti, tale tipo di licenziamento è dovuto a motivi legati all’organizzazione del lavoro e all’attività produttiva, le quali – in questo periodo – sono chiaramente messe in difficoltà a causa dell’epidemia di coronavirus. Quindi anche per questa via è ammissibile il licenziamento per coronavirus, salvo però – anche qui – il diritto di impugnare il provvedimento di licenziamento.
Discorso a parte per quanto riguarda il personale della PA: gli impiegati pubblici non possono essere licenziati per assenze o chiusure degli uffici per emergenze come il coronavirus. Anzi, secondo i recenti provvedimenti del Governo, le assenze nella pubblica amministrazione vanno parificate al servizio ordinario e comunque retribuite.
Concludendo, quali conseguenze ci possono essere per il dipendente che, per prudenza o per timore del contagio, decide di sua spontanea volontà di non recarsi al lavoro? Ebbene, stando alle norme vigenti, viene meno il diritto allo stipendio e potrebbero scattare conseguenze disciplinari, sebbene considerazioni legate all’emergenza lascerebbero pensare il contrario. Insomma, alla luce di quanto visto, il licenziamento per coronavirus non è ipotesi remota, ma va sondata in base alle varie circostanze concrete.
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