Il racconto di Jackson – La paura
Un tizio dalla pelle scura racconta una storia complicata, ma lineare.
Jackson è sulla trentina, pelle cioccolato, capelli alla flat top e una divisa blu che gli va stretta di spalle. Quando si sporge per farsi accendere un Cohiba da Elettra ringrazia con un cenno, e dal colletto sbottonato della camicia si intravede una cicatrice vicino alla giugulare.
«Con quella roba sta bene qualcosa a base di rum» fa Xeni, succhiandosi un angolo delle labbra e guardando il soffitto. Si volta e va all’angolo bar.
«Io… non sono italiano» dice Jackson, deglutendo il fumo con una smorfia «Di origine.»
«Fino a qui c’erano arrivati» sospira Guido «Ma devi raccontare una storia sulla paura.»
«Era per dire che non parlo bene.»
«E anche qui c’eravamo arrivati. Allora, c’era una volta…?»
«C’era una volta in Nigeria due fratelli che fanno i barbieri. I meglio barbieri del quartiere, che la gente vengono dagli altri quartieri per farsi fare i capelli. Sono giovani ma va bene, lo shop è bello, il ritrovo dei ragazzi prima di andare a prendere le ragazze. I due fratelli non fanno male a nessuno, vanno in chiesa ogni domenica e tagliano i capelli.
Un giorno lì fuori che beve birra e aspetta il suo turno c’è un… un criminal, no? Ma ai fratelli non importa. Arrivano con l’auto questi gangster con le pistole, lui scappa dentro lo shop, loro lo inseguono e BANG BANG BANG BANG» dice Jackson, puntando indice e pollice verso terra «Qui comincia la paura.»
Xeni gli porge un calice con una scorza d’arancia: «Questo si chiama El Presidente n°1. Cuba, 1870.»
«Non gli potevi fare un rum e basta?» sbuffa Guido.
«Sì, potevo. Jackson, vuoi un rum e basta?» domanda lei, senza staccare gli occhi da Guido. Il nero si porta il bicchiere alle labbra, sgrana gli occhi e scuote la testa, mugugnando. Xeni va a sedersi nell’angolo.
«La Nigeria non è come qui» continua Jackson «Lì c’è maphia, nessuno vede niente, altrimenti ti uccidono. Ma anche la police è solo maphia diversa. Corruption, sì? Ma devono fare arresti e non possono arrestare i gangster potenti, allora prendono quelli piccoli. Police arriva nello shop e dice, chi è stato? I due fratelli non possono parlare, dicono che sono scappati nel retro e non hanno visto niente.
Nessun testimone, allora la police dice che sono stati i due fratelli a sparare al criminal.
Li arrestano e li portano in prigione, ma i gangster hanno paura i fratelli parlino e minacciano la famiglia fuori. Sai cosa è la paura? È stare chiuso tra gangster e pensare che fuori c’è tua sorella o tua mamma e che le uccidono senza che puoi fare niente. Sai che poi è colpa tua, se succede.»
«Un bel casino.»
«Così i due fratelli scappano, evadono di prigione. Vanno da clienti criminal e gli chiedono aiuto, loro gli prendono tutti i soldi e via da Nigeria, su, su, fino a Libia sui camion. Poi da Libia vanno in barca in Grecia, campo refugees, ma lì scoppia rivolta e i fratelli si perdono. Uno scompare, l’altro si infila dentro un traghetto di tourists, sì?
E finisce giù in Italia, Brindisi.
Lì trova un altro… così» dice, indicandosi «E gli chiede mangiare, dormire. Lui lo porta da italiani e loro dicono che sei bravo, sei forte, lavori per noi. Lui lavora campi di pomodori con tanti da Albania, e Turchia, e Morocco. Prima illegale, poi c’è… sanatoria? Sì? E italiani pagano poco poco, lui coi soldi chiama a casa e riesce solo a sapere che stanno bene, anche suo fratello, poi basta.
Sentire la voce ti fa tornare la paura che forse quella telefonata li ha messi in pericolo. Forse li uccidono. Allora chiedi più soldi per tornare, e italiani smettono coi soldi e picchiano, picchiano, picchiano. Per tre anni, poi padrone gli fa questo» dice, indicandosi il collo «E allora capisce che è finita, è già morto un turco e nessuno ha visto niente, come Nigeria.
Scappa ancora.
Con altri prende treni, se non ha il biglietto scende, scappa e cammina su rotaie, finché arriva a Firenze. Qui gli dicono sei forte, sei bravo, e lo mettono a fare sorveglianza ai negozi di profumi per le belle donne, gli danno vestiti puliti, cravatta. Lavora sempre, mattina e sera, prende 800 euro e ne manda in Nigeria 400, il resto vive in appartamento con altri, chi dal Congo, chi Senegal, chi Somalia, e anche qui padrone di casa arriva e minaccia, alza sempre il prezzo dell’appartamento. Ha paura che non ha soldi per… come te, no?» dice Jackson, indicando Giulia.
La cinquantenne annuisce, bevendo.
«Che non mangi, non dormi. Hai bisogno di soldi in fretta, un amico dice che può aiutarlo. Ci gira insieme e in un parco lo vede che spaccia, gli dice se vuoi fare soldi, si fa così. Ma barbiere non è tipo, non vuole, ha la Fede. Poi arriva police italiana, ci prende e ci porta in galera. Anche loro picchiano, ancora prigione, ora processo, perde il lavoro al negozio di profumi. E cosa deve fare?»
«Spacciare» fa Giulia, ravvivandosi i capelli.
«Sì.»
«Ma così conosce un buon samaritano che lo ingaggia come autista» sogghigna Guido «Un lieto fine. C’è poca paura, però, in ‘sto racconto.»
«Perché c’è tanto coraggio» dice Xeni, prendendo il bicchiere vuoto: «Cos’è la paura, Jackson?»
«Pensare che le ultime parole che ho detto a mia sorella sono “go away”. Pensare che potrebbero essere le ultime. Che non la rivedo, prima. E che poi Dio non mi perdona, e non la rivedrò nemmeno dopo.»
Per un istante, l’unico suono è quello del coltello che Xeni usa per mescolare ghiaccio e liquori, in fondo. Francesca si guarda attorno, poi batte le mani: «Questo sarà duro da battere. Elettra, chi è il prossimo?»
«A me interessa Xeni.»
Il tintinnare si interrompe.
«Lo sai che non è propriamente una di noi. Lasciamola fuori.»
«Una storia è una storia.»
«No, la prossima ve la racconto io» fa Guido.
Il tintinnare ricomincia.