La storia di Clelia – La paura
Una donna strana parte alla ricerca della sua metà, dove nessun’altra la cercherebbe mai.
[Sette prostitute e tre clienti] – Ciclo della paura: [Il racconto di Giulia] – [Il racconto di Jackson] – [Il racconto di Consuelo] – [Il discorso di Xeni]
I tre uomini e le sei ragazze sono stravaccati sui divani, spossati dal pomeriggio e dai manicaretti di Xeni che porta via i piatti. Jackson fuma il sigaro, scambiandosi occhiate maliziose con Francesca. Guido sta tra Clelia e Francesca, sussurra qualcosa nell’orecchio della seconda, lei sbuffa una risata esausta. Fuori è scesa una sera appena spruzzata di pioggia, e il ticchettare delle gocce sul vetro, assieme alle luci soffuse, sono il colpo di grazia.
«È rimasta ancora della mousse di arancia e cannella, se volete» esclama Xeni dalla cucina.
«Quella donna vuole ucciderci» mormora con accento veneto il terzo uomo, seduto sul tappeto tra le gambe di Claudia. Alza la voce: «STAI LONTANA DA NOI»
Xeni torna con una ciotola e un cucchiaino, masticando.
Stringe le spalle e fila dietro il bancone.
Elettra, sulla bergere, fissa Clelia da quando è scesa, anche se lei fa di tutto per evitare il suo sguardo. È quella bellezza nordica perfetta ai limiti dell’impersonale; trent’anni, seno sodo e prosperoso, occhi così azzurri da sembrare grigi, capelli tinti di nero e coda alta quasi sopra la testa, a contrastare modi e gesti di chi tra i superpoteri sceglierebbe l’invisibilità.
Mentre buona parte delle ragazze ormai ha perso ogni scrupolo e stanno seminude, lei è l’unica che ancora copre un corpo asciutto e sinuoso con una vecchia felpa a cerniera dei Digimon, le gambe attorcigliate fino a sembrare una radice. Ripassa per le unghie squadrate e curate, getta un’occhiata veloce a chi ha attorno.
«Clelia, raccontaci una storia sulla paura» fa Elettra.
«Oh, Gesù. Avevi promesso!» sbotta lei, tirando una manata sul bracciolo del divano.
«Le promesse a gambe aperte non valgono.»
Clelia inclina la testa e socchiude gli occhi, sporgendo le labbra.
«C’era una volta…?» cantilena Elettra.
«C’era una volta una tizia qualunque nata in un paesino dell’Abruzzo, figlia di un maresciallo dell’esercito e di una casalinga polacca. Quelli dell’esercito si devono trasferire ogni due anni, e la ragazza passa l’infanzia trasferendosi da un posto all’altro dell’Italia. Niente amiche, niente fidanzati, niente trombamici, niente. L’unica cosa di stabile che ha sono i libri, e lei ci si attacca.
Studia sempre, diploma scientifico col massimo dei voti, poi si trasferisce a Trieste per fare CTF; è tipo un misto tra chimica e farmacia, per farvi capire. In teoria ora può fraternizzare, avere dei fidanzati, delle amiche, giusto? Sbagliato. Lei non sa come si fa. Non è capace di parlare con gli altri, le fa una paura enorme. Non ci sono libri che spiegano come fare. Non ci sono corsi che possono integrare l’esperienza mancata dell’adolescenza.
La paura ti sale dentro come un conato di vomito, la senti salire e provi a premerla giù ma lei si divincola e risale ancora più forte, finché o scappi o… o ti metterai in imbarazzo. E quell’imbarazzo ti ritorna su, lo rivivi all’infinito mentre fai la doccia, mentre ti stai per addormentare, mentre cucini. Quella volta che. Hai paura ti ricapiti, ma hai anche paura che resterai sola per sempre.
La ragazza guarda le sue coetanee avere fidanzati, amici, andare alle feste. Le invidia, ma ha troppa paura di andare. Così loro dopo un po’ smettono di invitarla e lei resta lì, sola. Se un ragazzo le rivolge la parola… lei lo insulta. Non vorrebbe farlo, ma non sa flirtare. È solo una stupida, stronza antipatica e gli uomini la evitano.
Però c’è Internet.
Internet è una finestra sul mondo lì fuori, ti porta dove vuoi senza bisogno di esserci davvero. Grazie a Internet scopre uomini, donne, sesso, umorismo, meme. Cambia modo di parlare e di esprimersi, comincia a collezionare cose strampalate, guarda serie TV e cartoni sempre più strani, si appassiona ai videogiochi, ai forum, a quella realtà. Che non è quella reale, ma ancora non lo sa.
Non ha bisogno di soldi, ha poche spese e grazie alle borse di studio si laurea con il 110 e lode e nessun ritardo. La spesa più grossa che ha è il corso di lightsaber di Guerre stellari e una spada decente. La assumono in un’azienda farmaceutica svizzera e in due anni è così brava da arrivare non ai piani alti, ma quella è la direzione. Ha uno stipendio che in Italia l’80% dei lavoratori dipendenti si sognano, in banca ha uno sfacelo di soldi, ma la paura della gente e di mettersi in imbarazzo è enorme.
A ventotto anni è vergine, mentre con Internet e le varie community ha sviluppato delle perversioni che non trovate sui siti normali. Sono fantasie… sbagliate, diciamo. Brutte. Ma ci passa le domeniche pomeriggio di primavera, lei, il suo Hitachi e una buona VPN, a cui segue un meticoloso verificare che quelle fantasie non possano risalire a lei. A volte ha la tentazione di contattare altri come lei, ma ha troppa paura. Non solo perché sono comunque persone, ma perché significherebbe abbracciare quel lato oscuro.
Legittimarlo, mi spiego?
Dirgli che va bene.
È come quelli che soffrono di vertigini; appena vedono un’altezza gli sudano mani e piedi, eppure hanno la tendenza a sporgercisi. La ragazza capisce che sta prendendo una brutta china, così a ventinove anni affronta la sua paura ed esce a cena con un ragazzo.
E sapete cos’è straziante?
Guardarli negli occhi.
Guardare un uomo seduto davanti a te e mentre parlate di niente domandarsi come reagirà appena scoprirà che sei vergine, come e quando e se potrai mai dirgli che razza di perversa malata sei, e mentre sorride e si esalta quando gli parli di spade laser, tu hai la tentazione di sporgerti, di dirgli sì? Ti piace? Vuoi sapere qualcosa di più? Ma non lo fai. Hai troppa paura di vedere il suo viso accartocciarsi d’orrore.
Hai troppa paura lo vada a raccontare a qualcuno.
A trent’anni, la ragazza capisce che da lì in poi le cose possono solo peggiorare. Non avrà mai una relazione normale. Non si innamorerà mai di una persona comune e non potrà mai cercare una persona come lei. Così fa quello che avrebbe dovuto fare tanti anni prima: molla tutto. Internet, il lavoro, la famiglia, e se ne va in un bordello svizzero a prostituirsi. Spera che un giorno, tra i tanti pervertiti che le passano dentro, troverà qualcuno che le chiede di fare quello che lei sogna.»
«Pronto il cocktail» trilla Xeni, rompendo il silenzio e portando dieci coppe Martini piene di un liquido ambrato.
«Che c’è dentro?» domanda Guido.
«La mamma è il cognac, che presta opulenza, profondità e classe. Il padre è il rum, che mette i muscoli, il testosterone e la vitalità. I figli sono il Cointreau che aggiunge il morbido del velluto e il profumo d’arancia, e il limone spremuto, che porta il mediterraneo, il fresco e l’aggressività.»
«Sembra un gran cocktail.»
«Un gran…?» ripete Xeni, sgranando gli occhi «Questo non è un cocktail, è IL cocktail. Non ne esistono eguali. Nessuno ha tanto carattere. C’è dolcezza, amarezza, disperazione e speranza insieme. Non è fatto per chi vuole scopare, è fatto per chi ha scopato troppo e vuole la pace. Inventato da un anonimo bartender in un bordello parigino del 1900 per alleviare le pene delle prostitute che avevano lavorato tutto il giorno, volevano un solo giro e poi l’oblio. Questo, amico mio» dice, porgendogli una coppa «…questo è il punto alla fine della notte. Questo è il Between the sheets.»
Guido osserva il bicchiere: «Between the shit?»
«Sheets, idiota.»
Guido beve, deglutisce.
Alza gli occhi in quelli di Xeni.
Alla ragazza con i capelli rasati spunta un sorriso, si tira su, si sistema camicia e gilet: «Buonanotte, signore e signori.»