Smart working: definizioni
La definizione di smartworking, contenuta nella Legge n. 81/2017, pone l’accento sulla flessibilità organizzativa, sulla volontarietà delle parti che sottoscrivono l’accordo individuale e sull’utilizzo di strumenti digitali che consentano di lavorare da remoto con l’utilizzo di strumenti tecnologici necessari, senza penalizzazioni o differenziazioni rispetto a chi svolge il lavoro ordinario.
Ad oggi l’Osservatorio del Politecnico di Milano studia questo fenomeno fornendoci importanti dati sul suo sviluppo. In Italia è regolamentato più che negli altri Paesi europei, ed è stato definito come “una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”.
Il DPCM dell’11 Marzo 2020 sancisce per la prima volta, come misura di contenimento e gestione del contagio del virus Covid-19, che il lavoro agile sia adottato da tutte le aziende e da tutti gli uffici della Pubblica Amministrazione che possano far svolgere le mansioni lavorative anche da casa.
Pro e contro. E qualche dato
Se da un lato alcune opinioni soggettive temono la mancanza di stimoli restando nell’ambiente casalingo, i dati confermano che la maggior parte dei lavoratori che l’ha sperimentato non è più tornato indietro. Non solo, lo smart working incrementa la produttività (confermata dall’Osservatorio del PoliMi con una stima del 15%) per due motivi principali:
- Consente un work-life balance nettamente superiore allo spostamento per lavoro, consentendo una conciliazione di ritmi personali e impegni lavorativi;
- È strutturato sul raggiungimento degli obiettivi, non sull’orario svolto. In questo senso, predilige la qualità alla quantità, responsabilizzando chi lo svolge a completare le task ottimizzando i tempi: questo si verifica con più facilità grazie al fatto di poter bilanciare il lavoro con le proprie esigenze personali e ciò porta ad un aumento della motivazione.
Secondo l’Osservatorio Smart Working 2019, in Italia ci sono 570mila smart worker attivi (20% in più al 2018). I dati confermano inoltre che il 76% di questi è soddisfatto del proprio lavoro.
I benefici non interesserebbero soltanto imprese e dipendenti, ma anche economia e ambiente: un incremento significativo dello smartworking potrebbe portare a economizzare di molto le spese (tempo, benzina e trasporti pubblici), nonché ad un impatto minore sull’ambiente.
Il coronavirus come causa scatenante
In un momento di emergenza l’Italia sta sperimentando il lavoro agile come modalità di base, spostando l’utilizzo dello smart working dalle grandi aziende alla maggioranza delle case. In quest’ottica, il Coronavirus è stato la causa scatenante della realizzazione delle previsioni sul lavoro.
Il professor De Masi, fondatore della Società italiana del Telelavoro (SIL), aveva “predetto” il boom di questo fenomeno prima ancora che si verificasse oggi per cause di forza maggiore: si è attivato per l’approvazione
di leggi relative al telelavoro, prevedendo un successo che, però, non si è da subito verificato. Perché? “Per una resistenza patologica al cambiamento e per quella che io definisco la sindrome di Clinton: l’esigenza dei capi di avere i loro subordinati sempre a disposizione nella camera accanto, al costo di sentirsi depauperati”.
In effetti, i dati del Politecnico riportano delle criticità, come le difficoltà nel gestire le urgenze (per il 34% dei responsabili), nell’utilizzare le tecnologie (32%) e nel pianificare le attività (26%). Nonostante questo e l’esigenza di perfezionamento delle strategie, la maggior parte dei datori di lavoro lo metterebbe in pratica in ogni caso.
(Articolo sulla possibile durata della quarantena)