A meno di tre mesi dallo scoppio dell’epidemia coronavirus, l’economia cinese stenta a decollare. L’efficacia delle misure di quarantena, ancor più restrittive di quelle italiane, sono servite a rallentare i contagi, al punto che oggi a Wuhan, dove tutto è iniziato, si contano su un palmo di mano. La situazione sta tornando lentamente alla normalità, i lavoratori stanno gradualmente tornando a lavoro; ma far ripartire l’economia cinese sembra un’impresa ardua.
Se, infatti, da un parte riaprono molte industrie nel Paese, soprattutto fuori dallo Hubei (la provincia cinese che ha Wuhan come capitale), dall’altra milioni di persone attendono di tornare al lavoro. Alcuni perché sono isolati nei villaggi rurali, senza poter usufruire dei trasporti pubblici ancora non attivati, altri perché attendono che le amministrazioni locali diano il via libera; altri ancora perché la produzione stenta a ripartire, non essendo ripresa la domanda interna. Stiamo parlando di decine di migliaia di operai che, ad oggi, sono in attesa di una chiamata da parte dei propri datori di lavoro. Ma se non viene rilanciata la domanda interna di beni, la produzione non riparte. E se non riparte la produzione, le fabbriche restano chiuse. E se le fabbriche rimangono chiuse, l’economia cinese non potrà riprendere a crescere.
Economia cinese: la situazione nel Paese
Secondo il New York Times, quelle industrie che sono tornate in servizio rendono la metà dei livelli produttivi precedenti la diffusione dell’epidemia. Di fatto, in molti casi, gli stabilimenti sono aperti, anche se di operai non ce n’è neanche l’ombra. Molti datori di lavoro, infatti, temono di dover chiudere di nuovo gli stabilimenti e di mettere in quarantena il personale, nel caso in cui anche uno solo dei dipendenti venisse contagiato.
Ad aggravare la situazione dell’economia cinese vi è la sospensione di molti ordini destinati sia al mercato interno sia a quello estero. La preoccupazione è che, se la pandemia dovesse colpire gravemente anche altre nazioni (come sta avvenendo in Italia e Corea del Sud), la domanda internazionale dei beni cinesi sarebbe gravemente minata.
Per quanto riguarda la grande industria, soltanto il 60 per cento delle 143 fabbriche cinesi è tornato pienamente in funzione. Ciò ha gravi ripercussioni nel settore di trasporti merci, perché se i grandi gruppi industriali mostrano segnali di ripresa, la distribuzione legata alla piccola impresa affanna. Si deve considerare che la grande industria dipende in massima parte da piccole e medie imprese che operano nella distribuzione dei beni; dunque se rallenta l’attività di quest’ultima, non può che risentirne l’economia cinese complessiva.
Le reazioni del governo cinese
A Pechino, il governo si sta attivando affinché le banche allentino la morsa sulle piccole imprese nella riscossione dei debiti. La banca centrale ha messo a disposizione un fondo proprio per tamponare questa situazione. Tuttavia, le banche cinesi si mostrano restie ad elargire prestiti alle imprese, senza fideiussione. Il rischio dell’insolvenza da parte delle imprese inibisce la fiducia del sistema bancario.
L’insieme di questi fattori rende l’economia cinese stazionaria. Per la prima volta dopo decenni, si prevede crescita zero dell’economia cinese nel primo trimestre del 2020.
Il piano di Xi Jinping è puntare sulla ripresa della produzione a pieno regime in tempi rapidi, cosicché si possa realizzare la cosiddetta “ripresa a V” (dalla forma che avrebbe in un grafico). Per aumentare la produzione, è necessario rilanciare la domanda interna, con massicci interventi pubblici.
E in Italia?
Se questo è lo scenario della, fino a pochi mesi fa, florida economia cinese, l prospettiva è a dir poco allarmante per l’affannosa economia italiana, da tempo in recessione.
Per evitare il collasso, sarà fondamentale l’azione del governo nell’intervenire attraverso gli strumenti di stimolo della domanda interna, in modo simile a quanto sta facendo Pechino.
Tuttavia, sarà indispensabile il sostegno dell’Ue, soprattutto per la possibilità di sforare il pareggio di bilancio e sospendere il patto di stabilità. Un’incognita, infine, è rappresentata dalla BCE. Dopo le dichiarazioni di Christine Lagarde che hanno provocato un’impennata dello spread di 290 punti, nel pomeriggio di oggi si è ristretto il differenziale tra i decennali italiani e quelli tedeschi, a causa dell’acquisto di titoli italiani da parte della BCE, che hanno fatto scendere il rendimento a 10 anni all’1,96% e lo spread a 247 punti base.
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