I buoni fruttiferi postali sono stati recentemente e sovente al centro delle cronache per i mancati rimborsi da parte di Poste Italiane. In particolare abbiamo trattato dei Bfp della Serie P e Q e del problema legato ai rendimenti che, ormai è noto, sono stati dimezzati dopo il famoso decreto ministeriale del 1986. Da lì in poi, per una questione di timbri mancanti, i buoni fruttiferi trentennali sono stati spesso oggetto di ricorso da parte dei loro titolari che, una volta recatisi negli uffici di Poste Italiane per riscuotere il dovuto, si sono visti rimborsare molto meno delle somme effettivamente spettanti. Sulla questione è intervenuta anche l’avvocato Carmen Basso sul portale a tema giuridico salvisjuribus.it.
Buoni fruttiferi postali serie P e Q: i chiarimenti
L’avvocato parla di un Bfp serie Q con modulo precedente P del valore originario di 5 milioni di lire e per il quale Poste Italiane ha calcolato un rimborso di 33.006,67 euro. Tuttavia siamo alle solite. “i tassi che legittimamente dovrebbero trovare applicazione, al momento della riscossione, sono quelli elencati nella tabella a retro del buono in esame”. La Legge, infatti, permetteva a Poste Italiane di utilizzare nel periodo di transizione i vecchi buoni della Serie P, a condizione che venissero apposti due timbri, uno sul fronte e uno sul retro.
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Buoni fruttiferi postali Serie P e Q: tassi di interesse e rendimenti
Famosa è la sentenza n. 13979/2007 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, nella quale si stabilisce che “il contrasto tra le condizioni, in riferimento al saggio degli interessi, apposte sul titolo e quelle stabilite dal d.m. che ne disponeva l’emissione deve essere risolto dando la prevalenza alle prime, essendo contrario alla funzione stessa dei buoni postali destinati a essere emessi in serie, per rispondere a richieste di un numero indeterminato di sottoscrittori che le condizioni alle quali l’amministrazione postale si obbliga possano essere, sin da principio, diverse da quelle espressamente rese note al risparmiatore all’atto della sottoscrizione del buono”. Questo è solo il postulato di una sentenza alla quale ne seguono altre, così come quelle emesse dall’Arbitro Bancario Finanziario nel corso degli ultimi anni.
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Timbri sul fronte e sul retro, ma apposti in modo corretto
In uno di questi casi il timbro veniva apposto correttamente sul frontespizio, dove accanto alla vecchia denominazione P veniva messa anche la nuova denominazione Q. Ma sul retro? La risposta è negativa, perché Poste non ha provveduto ad aggiornare la tabella degli interessi sul retro, con i nuovi parametri correlati alla Serie Q. Il sottoscrittore pertanto era rimasto alle condizioni contrattuali che indicavano i tassi precedentemente in vigore. Sul retro, in breve, la tabella doveva essere aggiornata con i nuovi tassi di interesse, ma invece è stato apposto un generico timbro che semplicemente informativa che “i tassi sono suscettibili di variazioni successive”. Inoltre, per il rendimento dal 21° al 30° anno di sottoscrizione, non è stata indicata alcuna informazione, lasciando così invariate le condizioni. Alla luce di quanto appena esposta, la liquidazione lorda sarebbe dovuta essere di 66.661,90 euro, a cui bisognava sottrarre 2.582,28 euro di ritenuta fiscale e 36,66 euro di imposta di bollo. Il rimborso dovuto da Poste Italiane nei confronti del titolare dei Bfp ammonta pertanto a 29.645,87 euro in più rispetto a quanto già erogato.
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