Napolitano e l’Unità d’Italia
Qualche giorno fa, il Presidente della Repubblica, dal palco di un’affollatissima piazza della Repubblica a Marsala (Trapani), decorata con decine di tricolori e riempita da centinaia di bambini in maglia rossa o verde in onore dell’eroe dei due mondi, scandiva lentamente le parole “chi prova a immaginare o prospettare una nuova frammentazione dello Stato nazionale, attraverso secessioni o separazioni comunque concepite, coltiva un autentico salto nel buio”.
Intervenuto a Marsala, in occasione delle celebrazioni per la ricorrenza dei 150 anni dell’unità d’Italia, per ricordare lo sbarco dei Mille, Napolitano ha criticato anche “i penosi giudizi liquidatori sull’unità”, rei di negare “il salto di qualità che l’Italia tutta, unendosi, fece verso l’ingresso a vele spiegate nell’Europa moderna”.
[ad]Chiaramente le parole di difesa e di rivendicazione dell’importanza delle celebrazioni dell’anniversario dell’unità d’Italia da parte del capo dello Stato non possono stupire. Tuttavia, sarebbe un abbaglio non accorgersi che la vicenda dell’unità d’Italia non si è ancora storicamente compiuta.
Dal 1861 l’Italia si è indubbiamente “modernizzata”: si è raccolta sotto una sola bandiera con la quale ha combattuto due guerre mondiali, ha faticosamente archiviato il fascismo e abolito la monarchia, ha redatto poi una costituzione repubblicana e infine è entrata nell’Europa unita.
Con l’avvento della televisione, grazie alle “lezioni” del compianto Mike Bongiorno e colleghi, l’Italia si è definitivamente unita anche dal punto di vista linguistico nel tentativo di superare i suoi cento dialetti, ma in realtà – anche nell’era di Internet – lo steccato che separa il Nord e il Sud dell’Italia non è stato abbattuto.
Tutti sono perfettamente consapevoli dell’esistenza di tale steccato, ma fanno finta di non vederlo e voltano distrattamente lo sguardo dall’altra parte. L’unità politica e successivamente quella costituzionale non è mai diventata unità sociale ed economica.
Questo incompiuto processo storico ha consentito l’incancrenimento di una situazione dove la nazione italiana convive a pezzi, parla la stessa lingua, usa la stessa moneta, ma racconta realtà quotidiane molto differenti da Nord a Sud. Appare abbastanza evidente che l’integrazione nazionale, con ormai 150 anni di vita alle spalle, non è stata in grado di cancellare le differenze.
Non esiste nazione del mondo industrializzato dove lo scarto di civiltà, la disparità di redditi, la qualità dei servizi, la mancanza di coesione sociale tra il Nord ed il Sud siano tanti profondi e diseguali come in Italia.
L’unità burocratico-istituzionale raggiunta nel 1861 dopo un tortuoso processo risorgimentale forse non è riuscita a suscitare quel “desiderio di vivere insieme” che il filosofo franceseJoseph Ernest Renan aveva indicato come caratteristica sostanziale di una nazione, per cui le singole parti si sentono legate, al di là di tutte le differenze, da un unico destino sulla base del condiviso “possesso di una ricca eredità di ricordi” e della “volontà di continuare a far valere l’eredità ricevuta indivisa”.
La nazione è un plebiscito di tutti i giorni…