Con “Sete”, edito da Voland, Amelie Nothomb è alla pubblicazione del suo ventottesimo romanzo. A causa della situazione generale d’emergenza Covid-19, sono state annullate le presentazioni annuali dell’autrice in Italia, che quest’anno avrebbero avuto luogo, tra gli altri, anche alla fondazione Zeffirelli di Firenze e a Castel Nuovo, a Napoli.
Nonostante questo, la critica ha ben accolto l’ultima creazione dell’autrice belga, che questa volta sceglie di narrare qualcosa di universalmente conosciuto e discusso: la passione di Cristo. Dalle testimonianze dei suoi miracolati al cospetto di Pilato alla notte della prigionia, dalla tortura al cammino verso il Golgota, dai ricordi del passato alla resurrezione: un approfondimento scritto da Amelie Nothomb interamente in prima persona, per un lavoro che rispecchia non soltanto la sua interpretazione molto intima e non convenzionale della storia, ma anche una conoscenza e uno studio approfonditi dei vangeli.
Amelie Nothomb: la scrittrice e il personaggio
Solitamente la famosissima scrittrice belga attinge a momenti e immagini della propria vita personale per la creazione delle trame, soprattutto perché influenzata dalle più disparate culture: nata a Kobe, in Giappone, da genitori diplomatici, ha sempre viaggiato fin da piccola, sviluppando una mentalità poliedrica, ironica, dal respiro internazionale.
Sono due i suoi più grandi amori: la scrittura e le origini giapponesi, che ricorrono più volte dipingendo ampiamente lo sviluppo della sua personalità, la storia della sua crescita e le difficoltà del percorso, così come la genesi dei suoi toni distintivamente irriverenti, brillanti e a tratti nettamente noir, rintracciabili in ogni sua opera.
Eccentrica, simpatica, sempre vestita di nero e con indosso grandi cappelli, la Nothomb è certamente una lettura di nicchia ma è al contempo molto conosciuta, anche qui in Italia. Dopo il suo primo successo, “L’igiene dell’assassino”, (1992), che l’ha resa famosa in tutto il mondo, non ha mai più smesso di scrivere: da allora pubblica un libro all’anno. Infatti il suo personaggio è celebre anche per una dedizione cieca nei confronti della scrittura: comincia dalle quattro di mattina fino alle otto di ogni giorno, utilizzando soltanto carta e penna e restando fedelmente avversa a qualsiasi tipo di tecnologia: abitudini, queste, che vengono anche narrate nel suo simpaticissimo libro “Petronille”.
“Sete”, un commento
In “Sete”, Amelie Nothomb trattiene il suo inconfondibile stile, ma sembra abbandonare ogni schema pregresso nella costruzione della narrazione. Non ci sono tracce biografiche, la storia non ha una vera e propria struttura e parti distinte tra loro, lasciando uno spazio unico a un lungo dispiegarsi di pensieri, in una resa del tutto eterea e raffinata.
Il taglio dell’opera risulta originale. Il tratto distintivo? L’esperienza della corporeità, il miracolo e la condanna di possedere un corpo fisico.
Il Gesù raccontato è profondamente uomo, da qui l’esigenza di protrarre l’attimo della sete: per godere a fondo delle prime sorsate d’acqua, pure, necessarie. Di stendersi sul terreno per dormire, di essere ascoltato, di godere del vino e del pane caldo, di godere della pazienza e della tenerezza e di tutte le cose semplici e belle della vita. Figlio di Dio e profondamente umano: la dualità che ha sempre affascinato il mondo viene esplorata nella sua forma più delicata, narrando la tenerezza e includendo l’amore e l’odio, il bene e il male come parti irriducibili della stessa esperienza, esattamente come nell’antinomia spirito-corpo.
“A me il male non è estraneo. Per poterlo identificare negli altri, è indispensabile che io ne sia provvisto. Non me ne lamento. Se non portassi dentro di me questa traccia oscura, non avrei mai potuto innamorarmi. L’amore non tocca mai le creature estranee al male. Non che ci sia qualcosa di male nell’amore, ma per conoscerlo dobbiamo contenere abissi in grado di accogliere la profondità della sua vertigine”.
La sete, lo strazio del corpo provocato dalla tortura, il senso di colpa, il dormire e la sessualità, tutti questi aspetti allo stesso modo, ci contraddistinguono in quanto esseri umani: gli uni non possono sopravvivere senza gli altri, nemmeno nel corpo di Gesù. Così l’autrice provoca, tocca quanto non è canonico, inoltrandosi in spazi nascosti come il sesso, il piacere, il dolore, il rancore, pericolosi rispetto all’oggetto trattato e che in pochi hanno coraggio di descrivere con tanta fine semplicità.
Nel suo ultimo libro “L’identità”, Kundera fa uso di parole ben chiare per descrivere il senso di quanto è umano e strettamente intessuto al corporeo: “Del resto che cos’è un segreto intimo? È forse ciò che racchiude quel che vi è di più misterioso, di più personale, di più peculiare in un essere umano? No. È segreto quel che c’è di più quotidiano, di più banale, di più ripetitivo, comune a tutti: il corpo e i suoi bisogni, le sue malattie, le sue manie. Se nascondiamo pudicamente tutte queste intimità non è perché esse siano strettamente personali ma al contrario, per la loro assoluta, deprecabile impersonalità”.
Avendo scritto “Sete” e avendo superato di molto la sua maturità artistica, Amelie Nothomb sembra aver disvelato proprio questo segreto.
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