Il buco: trama, recensione e chiavi di lettura del film su Netflix
Il buco: trama, recensione e chiavi di lettura del film su Netflx. L’opera di Galder Gaztelu-Urrutia farà discutere molto per via della sua intraprendenza.
In epoca di quarantena, la maggioranza delle persone si è ritrovato con l’avere tanto, tantissimo tempo libero a disposizione. Oltre alle letture lasciate in sospeso tempo addietro e a caffè e aperitivi virtuali, non può mancare la visione di un buon film o di una serie tv.
Per il ciclo dei “film della quarantena”, vi proponiamo una serie di pellicole da recuperare, che potranno allietarvi la giornata. Partiamo con una delle uscite più recenti e discusse del catalogo di Netflix: Il buco.
Il buco: trama e cast di un film che farà discutere
Il buco (traduzione de “El hoyo”) è un film del 2019 diretto dal promettente Galder Gaztelu-Urrutia, con protagonisti Ivan Massagué, Zorion Eguileor, Antonia San Juan, Algis Arlauskas.
Già dai primi secondi ci ritroviamo nel mezzo degli eventi: il protagonista, Goreng, si risveglia in una prigione costruita in verticale “tagliata” nel mezzo da un grande buco rettangolare. Ciò implica che dalla sua posizione, Goreng può vedere e parlare con gli “inquilini” delle altre celle più vicine. Accompagnato da un inquietante ed efficace Zorion Eguileor (Trimagasi), Goreng scopre ben presto la caratteristica più peculiare di questa prigione: il cibo non viene ripartito equamente in ogni cella. Viene disposto un gran banchetto che partendo dal piano 0 (che in questo caso sarebbe il piano più alto) arriva fino al punto più basso della prigione, per poi risalire a velocità vertiginosa alla fine del viaggio giornaliero. Ciò significa che coloro che sono più vicini al piano 0, avranno buone probabilità di mantenersi al salvo dalla fame, mentre per gli ultimi sarà una autentica lotta per la sopravvivenza.
La distopia de “Il buco”, tra richiami a The Cube e l’idea di uno spazio attivo
“Il buco” rientra a pieno titolo nella categoria dei film distopici. Si tratta di una distopia lontana dal classico contesto futuristico, che presenta solitamente un ordine sociale già fortemente mutato e che adopera lo sviluppo tecnologico come volano di un cambio drastico e spesso drammatico. La pellicola di Galder Gaztelu-Urrutia trae la sua ispirazione scenografica dal noto “The Cube” di Vincenzo Natali.
Se però “Il cubo” traeva spunto dal celebre cubo di rubik (il rompicapo più conosciuto della storia) nella sua meccanica, per il buco si tratta di una trasposizione evidente di una realtà sociale. La spazialità della prigione gioca un ruolo chiave nella strutturazione delle relazioni tra gli individui: non a caso, proprio l’istituzione carceraria è stata al centro dei più svariati rinnovamenti teorici e pratici, in quanto luogo privilegiato di osservazione dei soggetti (sia in relazione tra loro, sia rispetto all’autorità). Per ulteriori informazioni, chiedere a Jeremy Bentham (che partorì l’idea del panoptico come dispositivo di controllo) e Michel Foucault (Sorvegliare e punire: nascita della prigione, 1975)
Il banchetto e le risorse scarse: dal paradiso all’inferno
Il banchetto, per quanto ricco, sarà sempre limitato (e questo è alla base di qualsiasi teoria economica, che studia la miglior allocazione delle risorse). La piattaforma che parte dall’alto e scivola lentamente verso i piani bassi si insudicia a ogni livello; la quantità di cibo diminuisce drasticamente, la fame aumenta e con essa la rabbia e la follia dei prigionieri. Il richiamo del regista alle storture delle diseguaglianze economiche e ai suoi effetti più catastrofici è più che evidente: chi è in cima può disporre del meglio del meglio, con la tavola più opulenta che si possa aver mai visto e assaporato. Essere in cima significa vedere chi sta al di sotto altrettanto sereno: gran parte del cibo sarà ancora lì, intatto. È così evidente che chi ha la fortuna di “alloggiare” una cella nei primi livelli viva in una prigionia tutto sommato accettabile, sicura e fisicamente lontana dalla vista e dai patimenti di chi alberga i loculi inferiori.
Già da qui si possono trarre le prime riflessioni: il regista vuole rappresentare come in un sistema sociale piramidale, basata sulla concorrenza e sulla lontananza, venga meno l’empatia, il concetto di comunità, di responsabilità e di cura verso l’altro. È l’idea di Gaztelu-Urrutia sul neoliberismo contemporaneo, dove l’individuo ha il diritto di perseguire il proprio interesse senza aver alcun obbligo morale verso la collettività.
“Il buco” e le minacce organiche
Il cibo e, in generale, “ciò che è organico”, hanno un ruolo cruciale nell’idea del regista. Il peccato di gola si trasforma idealmente, nello scenario del Buco, in cupidigia e avarizia. Peccati che però nell’economia della prigione diventano strumenti di sopravvivenza (da un lato) e dominazione (dall’altro). Uno dei caratteri distopici della pellicola di Gaztelu-Urrutia è l’assoluta impossibilità, da parte di “chi sta sotto”, di esercitare una certa forma di potere su “chi sta sopra”.
In uno scenario nel quale chi sta sopra detiene il potere e chi sta sotto non può far altro che accettare il volere di chi lo precede, unito alla scarsità di risorse (da un lato) e all’assenza di contrappesi (dall’altro), la carica di violenza fluisce dall’alto verso il basso, spinta da rabbia, sadismo (l’ebrezza del potere senza limiti) e meccanismi di compensazione (relativa ai torti subiti dal sistema e da chi “sta sopra”). Non è un caso che in assenza di particolari dispositivi di controllo, il potere venga esercitato dall’alto verso il basso attraverso la razzia del cibo, la manipolazione degli alimenti o una pioggia di deiezioni. I corpi stessi, man mano che si procede nella discesa agli inferi, diventeranno più sudici, sporchi, corrotti.
Il buco e la prigionia volontaria
Un elemento da segnalare riguarda la natura della detenzione delle persone in questa prigione: tutti i reclusi hanno accettato spontaneamente di far parte di un progetto che comportava la detenzione e la partecipazione a un esperimento. Ancor più interessante è però la possibilità di chiedere un qualsiasi piatto nel gran banchetto che parte dal piano 0 e la possibilità di portare qualcosa con sé dal mondo esterno. Metaforicamente, possono rappresentare rispettivamente 1) la trappola dell’ambizione e 2) l’aggancio con il proprio io.
La possibilità di poter chiedere nel “menù” il piatto più gradito non comporta necessariamente che si riuscirà ad accedervi. Per i più rimane una illusione e l’ennesima frustrazione. Ancora una volta, Gaztelu-Urrutia ci riporta alla logica economica cristallizzata sotto forma di leccornie. Dall’altro lato, la possibilità di portare un oggetto o un animale con sé rivela l’animo dei prigionieri e le loro intenzioni. Il nostro protagonista, Goreng, ha deciso di portare con sé una copia di Don Quijote di Cervantes. Il suo simpatico e inquietantissimo vicino, invece, un coltello ben affilato. Modi diversi di interpretare un esperimento estremo dal quale sembra davvero difficile uscirne vivi.
Il buco: un film decisamente consigliato (ma con un piccolo avvertimento)
L’opera di Galder Gaztelu-Urrutia è sicuramente consigliata: oltre alla lettura simbolica che può affascinare molti cinefili e che permette di stare ore a discutere sulle varie chiavi interpretative, il cast è decisamente all’altezza. Le interpretazioni sono efficaci, a partire dal bravissimo e qui disgustoso Zorion Eguileor. La colonna sonora, minimale e martellante, ci accompagna nella spirale di follia dei nostri prigionieri e la loro discesa all’inferno. La fotografia non si cimenta in particolari evoluzioni, rimanendo coerente con un contesto statico e asfittico. In definitiva, film consigliato ma che potrebbe provocare più di una brutta sensazione allo stomaco a causa di alcune scene volte a disgustare lo spettatore.
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