L’emergenza sanitaria causata dal Coronavirus precede, o corre in parallelo, alla crisi economica davanti alla quale tutto il mondo dovrà far fronte. In un pianeta globalizzato come il nostro, dove le relazioni tra Paesi sono anche economiche, il rischio di perdite economiche ingenti è sostanzialmente concreto e in questa direzione vanno lette le varie misure che il governo sta adottando almeno per i mesi di marzo e aprile. Non è un caso neppure che al Sud si inizi a parlare di rivolte sociali e si spera che la liquidità erogata alle persone che ne hanno più bisogno (e che anche prima del Coronavirus faticavano ad arrivare alla fine del mese) sia un freno a un altro tipo di emergenza importante con il quale prima o poi si dovranno fare i conti. Tuttavia, anche ai tempi del Coronavirus, c’è chi sta guadagnando: non nel senso che sta lucrando sull’emergenza sanitaria, ma nel senso che continua a lavorare e a raccogliere profitti. D’altro canto c’è chi sta perdendo, non solo il profitto economico, ma anche l’idea di un futuro lavorativo.
Coronavirus: fiere e convegni annullati nel mondo, un danno enorme
Molte fiere e convegni sono stati spostati o in autunno/inverno o al prossimo anno. Le fiere rappresentano un momento molto importante per l’economia di diverse imprese: quel turbo necessario per far girare gli affari in un determinato periodo di tempo. Facendo un esempio pratico, la posticipazione del Salone del Mobile al 2021, con il relativo annullamento dell’edizione 2020, determinerà una perdita di oltre il miliardo di euro e potrebbe portare molte fabbriche a chiudere.
Coronavirus nel mondo: chi continua a guadagnare
Come scrive Firstonline.info non sembra risentire della crisi Walmart, multinazionale statunitense che vanta 11.718 negozi e club in 28 Paesi nel mondo. Il primo gruppo del retail a livello globale ha infatti assunto 25 mila addetti per permettere un rifornimento costante e continuo dei suoi scaffali. Tuttavia, scrive Paola Guidi, la febbre dell’acquisto sta calando (-27,8% secondo le stime di GFK nell’ultima settimana). “I carrelli della settimana del 9 marzo hanno uno scontrino medio superiore del 26% rispetto alle settimane precedenti, ma con una frequenza di spesa inferiore del 17% perché il consumatore, dopo aver stipato frigo, dispense, congelatori e armadi di provviste, sta frenando”. Chi ha guadagnato molto nel mese di marzo sono le attività che operano nel retail agroalimentare, ma anche le industrie che vendono congelatori (l’obiettivo del consumatore, anche oggi, è fare più rifornimenti possibile, anche in vista di una futura crisi economica).
Oltre l’80% dei rivenditori americani, secondo Twice, ha dichiarato di aver venduto più congelatori nel primo trimestre 2020 che in tutto il 2019. Inoltre, “rivenditori americani, soprattutto di New York, dichiarano di ricevere chiamate continue, ma ormai gli apparecchi sono esauriti e poiché sono fabbricati in Cina, il rifornimento difficilmente ci sarà”.
Il problema della delocalizzazione
Ecco che emerge un problema serio, o meglio, le conseguenze di un problema che fino a poco tempo fa era considerato in altro modo: la delocalizzazione. La rincorsa alla manodopera più povera, al risparmio a tutti i costi, anche per fronteggiare l’elevata pressione fiscale, ha contribuito ad accelerare la mancanza di rifornimenti di certi prodotti. Per il Massachusetts Institute of Technology “il peggio deve ancora venire”. Le aziende più vulnerabili, infatti, “sono quelle che dipendono fortemente o esclusivamente da fabbriche in Cina per parti e materiali. L’attività degli stabilimenti produttivi cinesi è diminuita nell’ultimo mese e si prevede che rimanga depressa per mesi”.
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Soffre il settore hi-tech
Anche le aziende hi-tech stanno soffrendo lo stop per Coronavirus: Apple prevede un inevitabile crollo dei guadagni trimestrali, visto che la produzione degli iPhone (fabbricati in Cina) è ovviamente molto rallentata, ma anche la domanda nel mercato cinese è ridotta. Anche Whirlpool è stata costretto a ridurre la capacità di produzione negli Stati Uniti, in Europa, così come in India e in America Latina (controcorrente la Cina dove l’attività è ripresa). Il rallentamento dell’attività produttiva si registra anche in aziende come Miele, BSH, Dixons Carphon ed Electrolux, che ha annullato il dividendo per l’anno fiscale 2019 e per il primo semestre 2020 visto il notevole impatto finanziario causato dall’epidemia.
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E in Italia? A soffrire molto sono le piccole e medio imprese, ma anche tutte quelle piccole aziende collegate alle multinazionali sopraccitate. Il livello di sofferenza è ampio e l’incertezza regna sovrana su tutte quelle attività oggi costrette per necessità sanitaria ad abbassare la serranda. I tempi di ripresa saranno molto lunghi e si attendono aiuti per tutte quelle attività considerate attualmente non essenziali. Ma la paura è che sia troppo poco e troppo tardi.
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