Economia mondiale e Europa: cosa si rischia con il coronavirus

Pubblicato il 31 Marzo 2020 alle 17:43 Autore: Eugenio Galioto

Cosa rischia l’economia mondiale e l’Europa con il coronavirus? Siamo di fronte ad una crisi senza precedenti e abbiamo bisogno di risposte tempestive

Banconote di dollari ed Euro legate da un laccio
Economia mondiale e Europa: cosa si rischia con il coronavirus

Torna ad alzare la voce la Bce di Christine Lagarde. Dal bollettino pubblicato dalla Banca Centrale lo scorso fine settimana, emerge uno scenario inquietante per l’economia mondiale.

Secondo lo studio, tutte le stime al ribasso della crisi economica paventata dall’insorgere dell’epidemia di coronavirus sono state in parte confermate: la produttività mondiale, quest’anno, sarà notevolmente messa a rischio dalla pandemia in atto. Ciò comporta che lo scenario futuro dell’economia globale sia oggi molto più oscuro di quanto previsto dalle proiezioni a inizio anno.

Economia mondiale: cosa dicono le previsioni

Che i pronostici sullo stato dell’economia mondiale a inizio anno fossero ottimistici potrebbe essere plausibile. Va ricordato, infatti, che, prima che la pandemia sferrò un brutto colpo all’economia globale, si era appena conclusa la “fase 1″ della sottoscrizione dell’accordo commerciale tra Stati Uniti e Cina che aveva comportato immediatamente una stabilizzazione delle attività e degli scambi, nonché un taglio non indifferente dei dazi commerciali.

La possibilità di una via della Seta estesa sino agli Stati Uniti sembra assistere a una battuta d’arresto, proprio a causa del crollo degli scambi di import/export e per il butto colpo allo sviluppo economico della Cina che pareva inarrestabile.

La velocità di recupero dell’economia mondiale, nel lungo periodo, dipenderà dalla capacità di ripresa delle economie dei Paesi emergenti ancora vulnerabili, in un rapporto di inter-dipendenza con il “Sistema-mondo”, per dirla con Immanuel Wallerstein.

Nel breve periodo, invece, sarà fondamentale capire come la Cina e le altre economie avanzate dell’Occidente (nonché la Russia) reagiranno al rallentamento ciclico inevitabilmente atteso.

Da questo punto di vista, la Cina si sta già “armando” ed è pronta ad agire con massicci programmi di investimenti pubblici di stampo keynesiano. In Europa, però, è improbabile che l’Unione europea e la Troika (Bce, Commissione europea, FMI), da sempre devoti al dogma ordoliberale, possano scegliere di imboccare questa direzione.

E l’Europa?

Finora, nell’area euro, ci si è mossi timidamente, e in modo scoordinato, per tamponare gli effetti di una crisi che sembra non avrà nulla a che fare, per intensità e gravità, con quella del 2008: la recessione dell’economia reale che si profila appare essere molto profonda (-10% di Pil nel primo semestre 2020?), tale per cui non si prevedono margini di recupero prima di quattro-cinque anni.

Dopo lo scivolone della Lagarde, la Bce ha varato un nuovo Quantitative Easing per 750 miliardi di euro, affinché sia assicurata la liquidità necessaria per sostenere i debiti pubblici degli Stati, conseguentemente alla scelta di sospendere il Patto di Stabilità. Ciò consentirebbe, tra le altre cose, di mettere al momento in stand by l’opzione di ricorso al Mes, il fondo Salva-Stati sottoscritto dai Paesi dell’area-euro che prevede la possibilità, da parte di ciascun Stato, di accedere a risorse finanziare, col vincolo di sottoscrivere un memorandum, come quello subito dalla Grecia durante la crisi.

Ma lo spazio di manovra per la politica monetaria finisce qui; il resto dovrebbe essere compito della politica europea, che sembra essere la grande assente in tutta questa vicenda.

La sospensione del Patto di Stabilità e del Fiscal Compact contribuirà certamente a dar respiro alle economie in affanno del Sud Europa, ma la gestione del debito accumulato nel tempo, poi, sarà opera della responsabilità dei singoli Stati dell’euro-zona.

Per giunta, i mercati dovranno mostrarsi in ogni caso disponibili a rinnovare i titoli in scadenza e a comprare nuovi titoli a copertura del deficit eventualmente prodotto.

Per questo motivo, la questione dell’attivazione degli eurobond – o coronabond – appare di cruciale importanza, perché consentirebbe di finanziare l’economia europea, attraverso debito coperto da risorse proprie con tassazione federale.

Benché non sia ancora chiaro quale istituzione possa essere autorizzata ad emettere i coronabond e a quale bilancio vadano ascritti, Germania e Olanda hanno già detto di no alla richiesta da parte di Spagna, Italia, Francia, Portogallo, Slovenia, Grecia, Irlanda, Belgio e Lussemburgo di attivare lo strumento dei coronabond come strumento “per assicurare un finanziamento stabile di lungo termine per le politiche necessarie per contrastare i danni provocati dalla pandemia”.

Come a dire – questo è lo spirito della lettera inviata al Presidente UE Michel da parte delle nazioni richiedenti – “O si fa l’Europa, o si muore“.

Segui Termometro Politico su Google News

Scrivici a redazione@termometropolitico.it

L'autore: Eugenio Galioto

Sociologo, un passato da ricercatore sociale e un presente da analista politico. Scrivo principalmente di economia e politica interna. Amo il jazz, ma considero l'improvvisazione qualcosa che solo i virtuosi possono permettersi.
Tutti gli articoli di Eugenio Galioto →