[Sette prostitute e tre clienti]
Ciclo I: [Giulia] – [Jackson] – [Consuelo] – [Xeni] – [Clelia] – [Guido] – [Gaia] – [Andrea] – [Rosa] – [Elettra]
Ciclo II: [Giulia] – [Gaia] – [Consuelo] – [Guido] – [Clelia] – [Andrea] – [Jackson] – [Elettra]
È stata una notte lunga e impegnativa, di quelle in cui il piacere diventa un supplizio. La stanza con i letti affiancati è satura di fumo, odore di sesso, alcool spanto e il puzzo dolciastro delle candele, consumate fino allo stoppino. Francesca dorme abbracciata a Clelia. Guido scosta Consuelo, si mette un accappatoio e scende le scale fino al salotto. Punta il bancone per un ultimo whisky, poi vede Xeni seduta su un divano, ancora coi vestiti addosso. Tiene un bicchiere tra le gambe e sussulta piano.
La osserva, restando al buio.
La testa rasata ha due brutte cicatrici, forse coltello, o peggio. La mascella è squadrata e asciutta, i tendini del collo promettono un corpo nervoso e asciutto, privo di qualsiasi forma femminile. Le mani sono trasandate e piene di graffi, le unghie corte. Potrebbe sembrare un teppista sedicenne con le prime ondate di testosterone, finché tiene gli occhi chiusi. È quando li apre che quelle perle nere stravolgono i lineamenti e la trasformano in qualcosa di sinistro. La vede arricciare la bocca in una smorfia, stringere gli occhi e il riflesso di una lacrima attraversa il cono di luce della lampada, finendo sul tappeto.
«Oh, pelata» le dice.
Lei si volta di scatto, occhi spalancati e feroci. Poi le spalle le crollano, si asciuga il viso con il braccio, scatta in piedi e va dietro al bancone: «Che fai sveglio a quest’ora, Guido?» dice.
«Cosa sei te? Ex militare?» le domanda, osservandola armeggiare con le bottiglie.
Xeni sbuffa una risata: «Quella giusta. No. Tutt’altra sponda del fiume.»
«Qualcosa non va?»
«Un po’ di nostalgia della mia famiglia e di chi ho perso. Vuoi?» dice, mostrandogli un bicchiere da cognac.
«Cosa mi fai?»
«Qualcosa di intimo, un B& B. Brandy e Benedictine in parti uguali, niente decorazione. Cocktail da meditazione, che puoi bere anche da solo. Tira su i ricordi.»
La raggiunge dall’altra parte del bancone, osservando le mani muoversi sui dosatori e pelando il limone: «Tu fai da mangiare, da bere, ma non sali mai di sopra e non racconti niente.»
«Perché non potreste capire. Salute.»
«Sai cose che ho visto nella vita io?» fa Guido con un sogghigno, prendendo il bicchiere «Se ti manca qualcuno, parlarne è un modo per sentirlo più vicino.»
Xeni beve il cocktail, scuote la testa: «Non è roba per voi.»
«Allora tu parla. Io non capirò niente, pazienza.»
Lei cerca qualcosa negli occhi dell’anziano, poi le spunta un sorriso malinconico. Prende un candelabro d’argento su cui è rimasto un mozzicone di candela rossa, tira fuori un accendino e la luce giallastra illumina il bancone e poco altro. Lei si tira su la manica della camicia e porge la mano a Guido dalla parte del polso: «Toccalo» sorride. Guido trova una mano coperta di calli e calda. Lei la ritrae, gira il palmo verso il basso e lo pone a qualche centimetro sopra la fiamma: «Conta e non interrompermi.»
Uno.
«Non è da me, ma stavo per farla finita, a ridosso delle mura. Non avevo più niente, ero mezza morta. Avevo guardato il porto, da quella collina, ed era un bel posto per morire. Poi sono spuntati quei due.»
«Tre, quattro… ti stai ustionando.»
«Arrivati a Kelum volevo fregarli. Erano bei soldi, ma erano stati anche gentili. Sono finita in galera con loro, è lì che abbiamo tirato su Chiara. Non sapevamo fosse quello che era e lei si è ben guardata dal dircelo. C’erano militari che andavano e venivano a parlarle, quel suono… bè, col senno di poi è facile dirlo. Ci hanno inseguiti per mezzo continente, sei mesi a mangiar bacche e rubare polli. Eravamo disperati. Non capivamo perché fossero così ossessionati. Se non era per quel genio che ci guidava saremmo morti.
Achille, quanto lo vorrei qui, adesso.
Mi basterebbe sentire la sua voce.
Poi mi sono innamorata di Chiara. Era insopportabile, bugiarda e coi suoi bei traumi, ma eravamo fatte l’una per l’altra. In autunno abbiamo trovato Eusebeia, una ragazzina di quelle che abbracciano gli alberi. È stata lei a parlarci del passo, diceva di venire dall’altra parte. Morti per morti, tanto valeva.»
«Otto, nove…» ansima Guido, guardandole la mano.
«Oh, ricorderò sempre quella scena. Quelli che escono dagli alberi, la neve, il freddo, quando eravamo certi di morire, poi Chiara che confabula con Euse, l’urlo, e in un istante tutte le leggende che ti hanno raccontato da piccola diventano vere. E poi Mosca da quella terrazza, quanto eravamo felici! Ho preso la testa ad Achi e l’ho coperto di baci. Euse non la finiva più di parlare con quelli nuovi, è scesa giù con loro, ingegneri, fisici, chimici e lastre di rame così alte e grandi che non ne vedi la fine.
Era tutto incredibile.
Ma era ancora sotto controllo.
Achi ha ripreso con la politica, quei deficienti credevano davvero l’avrei tradito. Per qualche anno è andata bene. Poi sono arrivate le voci, tutto il casino con gli ambasciatori… una società basata sulla scienza è complessa da gestire perché l’uomo ha bisogno di idoli. Quando quelli sono arrivati non eravamo pronti. Volevano le lastre e noi non avevamo riconvertito l’industria abbastanza in fretta.
Io ho trovato mio padre, quello vero, ma stava dalla parte sbagliata.
Mi dispiace di avere mentito a Euse, ma me l’aveva ordinato Achi e lei era diventata un pezzo grosso. Non voleva certe cose uscissero dalla biblioteca, perché… bè, sono filosofie. Poi abbiamo conosciuto Dio, e non è un modo di dire: l’ho conosciuto bene perché gli ho tagliato la testa con queste mani, e con questi occhi ho visto che glie ne spuntava un’altra.
Lì è stato il delirio.
Ho visto gli occhi e i capelli di Euse diventare bianchi in una notte. Ricordo Luca che batte contro il portone, mi tenevo la pancia e piangevo anch’io. Alla fine non ho visto la griglia nera, so che sarei impazzita. È successo a tanti, quel giorno. Io, Achi, Luca, Chiara, Euse… Non volevamo niente di quello che è successo; Achi cercava i suoi, Luca voleva vendicarsi, Euse voleva tornare a casa, Chiara voleva qualcuno che l’amasse per quello che era, io volevo solo rifarmi una vita.
Tu morirai molto prima, Guido. Tutti voi. Ma se quando esci di qui andrai… come si chiama, Mongolia? Bè, sappi che lì, in una spianata a est, tra tanti anni sorgerà un monumento. Io non l’ho mai visto perché mi imbarazza, ma sono quella all’estrema sinistra col coltello in mano.»
Guido ha scordato di contare, afferra la mano di Xeni e la gira. Il palmo è tiepido, senza ferite. Lei ha un sorriso malinconico.
«Che trucco è?»
«Nessuno trucco. Sono un’indegna, Guido» dice Xeni, finendo il bicchiere con un sorso «E tu stai sognando.»