Pignoramento stipendio: come evitarlo e importo massimo pignorabile
Pignoramento stipendio: quali strategie per evitarlo o comunque per prendere tempo ed allungare l’iter avviato dal creditore. Quali sono i limiti?
Il pignoramento dello stipendio, ovvero un rischio per molte famiglie italiane che, in circostanze tanto frequenti quanto spiacevoli, non riescono a far fronte ai debiti contratti. Ecco che allora si palesa all’orizzonte il possibile pignoramento dello stipendio o del conto corrente, con tutte le conseguenze che possiamo ben immaginare. Di seguito vogliamo considerare un po’ più da vicino alcune strategie, che consentono al debitore – legalmente – di evitare il pignoramento dello stipendio, o quanto meno di attutirne l’impatto. Vediamo allora quali sono.
Pignoramento stipendio: il contesto di riferimento
Anzitutto va premesso che, con la legge di Bilancio per il 2020, sono state introdotte importanti novità in materia di pignoramento stipendio. Infatti, oggi i tempi dell’iter sono diventati più rapidi. I Comuni possono attivare il citato pignoramento stipendio (o pensione), anche in via immediata proprio sul conto corrente del debitore lavoratore (o pensionato), già a seguito della mancata risposta nei confronti dell’intimazione di pagamento o dell’avviso di accertamento. È chiaro che le intenzioni dei promotori della riforma in oggetto sono mirate allo snellimento di tutto l’iter per la riscossione dei debiti non saldati spontaneamente dall’obbligato.
Ricordiamo altresì che, per quanto attiene ai limiti di pignorabilità stipendio, essi sono calcolati nella misura massima di:
- un quinto per i debiti di lavoro e i tributi provinciali e comunali non versati;
- un terzo in ipotesi di alimenti dovuti per legge.
Se è vero che il pignoramento stipendio è consentito, è altrettanto vero però che la vigente garantisce comunque una tutela verso il debitore: in buona sostanza, lo stipendio può essere aggredito dal creditore, ma lasciando indenne quello che è chiamato il “minimo vitale”, ovvero quella parte di stipendio che va lasciato comunque nella disponibilità del debitore, al fine di permettergli una vita dignitosa. Il pignoramento stipendio, laddove intervenga verso lo stipendio già accreditato in banca, segue un limite variabile anno dopo anno; invece, se il pignoramento è svolto proprio presso l’azienda e trattenuto in busta paga, il limite alla pignorabilità è individuato in misura fissa.
All’inizio dicevamo dei possibili escamotage, che permettono al debitore di evitare il pignoramento, o meglio, di ridurne l’impatto a livello economico. Vediamo in rassegna quali sono gli strumenti in mano al debitore.
Come evitare il pignoramento: cos’è è lecito fare?
Chiariamo subito che il debitore e lavoratore non può sperare, per evitare il pignoramento, di licenziarsi e continuare a lavorare in nero, in modo da occultare la propria attività e risultare senza lavoro sia agli occhi del Fisco, sia gli occhi dei creditori. Tale pratica è infatti certamente illegittima, perché il debitore si troverebbe a lavorare in nero, ed a percepire allo stesso tempo, anche l’assegno di disoccupazione: una vera e propria truffa che avrebbe l’Inps come vittima.
Pignoramento e prelievo dal proprio conto corrente
Tuttavia il debitore potrebbe pensare di effettuare – strategicamente – un prelievo dal suo conto corrente, nel quale confluisce lo stipendio, in modo da sottrarlo dalle mire del creditore. Per questa via, l’Agenzia delle Entrate non può obiettare alcunché dato che i prelievi di denaro dal proprio conto, sono assolutamente legittimi e non sono controllati se non oltrepassano la somma di 10mila euro in uno solo mese.
Laddove il pignoramento stipendio si abbia come pignoramento del conto corrente in cui il datore di lavoro versa in pratica la busta paga, la legge prevede disposizioni ad hoc. Anzitutto, occorre che il creditore ottenga un valido “titolo esecutivo”: una volta ottenuto potrà efficacemente intraprendere l’iter – non breve – di pignoramento presso terzi in tribunale. Quali sono i titoli esecutivi di cui si può munire? Eccoli in elenco:
- un decreto ingiuntivo non opposto;
- un mutuo dal notaio;
- una sentenza;
- una cambiale;
- un assegno.
Ma sono previste altre significative regole peculiari, infatti:
- le somme di denaro già accreditate e che sono già depositate in banca, alla data di notifica del pignoramento, sono pignorabili, esclusivamente se il loro ammontare oltrepassa il triplo dell’assegno sociale, la cui somma è determinata dall’Inps ogni 12 mesi. Al momento l’assegno sociale equivale a 459,83 euro; il triplo è allora corrispondente a 1379,49 euro. Ne consegue che se sul conto corrente del debitore c’è una somma inferiore a 1.379,49 euro, il creditore non potrà pignorare nulla. Altrimenti, se sul conto corrente c’è una parte eccedente, questa potrà essere pignorata.
- se si tratta invece di stipendi accreditati sul conto in un secondo tempo, il creditore potrà far valere il pignoramento stipendio non più di un quinto per volta, ovvero per ogni mensilità. Lo scopo è chiaramente quello di saldare il debito, fino alla sua definitiva estinzione.
Accreditare la somma su differente conto corrente
Il debitore potrebbe pure pensare di “salvare” il denaro presente nel proprio conto, spostando l’accredito dello stipendio sul conto del marito, della moglie o di altro familiare. Con questo escamotage, il debitore potrebbe prendere tempo, in attesa che il creditore individui il conto in cui è versato lo stipendio da pignorare. Tuttavia, va detto che se il creditore è ben supportato dal suo avvocato, potrà far valere il pignoramento stipendio direttamente verso il datore di lavoro, ovvero in pratica trattenendo le somme dello stipendio in azienda (il quinto). Sarà il datore e non il debitore, a ricevere la notifica dell’atto di pignoramento in oggetto.
Nessun escamotage efficace invece nell’ipotesi in cui il debitore ceda il quinto dello stipendio a una società finanziaria, per sottrarsi al pignoramento. Infatti, il magistrato designato, laddove in corso di causa quantifichi il quinto pignorabile, lo effettua al lordo di possibili trattenute già sussistenti, perché prodotte da cessioni del debitore, compiute di sua volontà. Insomma, per questa via, non c’è modo di sottrarsi alle legittime pretese del creditore.
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Opporsi alla procedura di pignoramento: per quali motivi? Alcuni cenni
Al debitore è tuttavia consentito di fare ricorso in tribunale contro l’iter di pignoramento stipendio, per motivi però tassativi. Infatti, l’interessato può fare ricorso o per violazione delle regole sulla procedura, oppure per far valere l’inesistenza del diritto del creditore. Su questi motivi dovrà esprimersi il magistrato. Nessun’altra motivazione è ammessa a fondamento del ricorso.
Concludendo, dovrebbe essere ormai chiaro che la legge tutela anzitutto la posizione del creditore e le sue ragioni, ma lo fa non dimenticando di tutelare anche la posizione del debitore, che entro certo limiti e vincoli, è in qualche modo garantito. Tuttavia non si tratta tanto di escamotage, quanto di metodi per prendere tempo e per allungare la procedura, in attesa magari di ottenere quella liquidità idonea a saldare finalmente il debito.
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