Serbia, testa a testa nei risultati. Ma dalle urne esce puzza di vecchio
Elezioni presidenziali
In Serbia si è votato per le elezioni presidenziali e per quelle parlamentari. Partiamo dalle prime. La poltrona di presidente verrà assegnata dopo il ballottaggio del 20 maggio dato che nessuno dei candidati ha raggiunto il cinquanta più uno delle preferenze. Il testa a testa è tra il presidente uscente, Boris Tadic, e Tomislav Nikolic, esponente del partito progressista serbo (Sns, di area conservatrice). Nikolic è un fuoriuscito (nel 2008) del partito radicale serbo il cui leader, Vojislav Šešelj, è oggi rinchiuso presso il Tribunale internazionale dell’Aja accusato di crimini contro l’umanità. Un pedigree certo non democratico. Democratico è invece il nome del partito di Tadic, presidente uscente, con baricentro a destra.
Tadic e Nikolic sono dati da B92, storica emittente radiotelevisiva serba, rispettivamente al 25,4% e al 25,1%. Al terzo posto si piazza Ivica Dacic, leader del partito socialista che fu di Milosevic, con un sorprendente 14,2%. Dadic, di Milosevic, fu anche il portavoce nel decennio di guerra degli anni Novanta. Al quarto l’ex presidente serbo Vojislav Koštunica col 7.2%, colui che si oppose all’estradizione di Milosevic all’Aja. Secondo alcune ricostruzioni Kostunica potrebbe essere il mandante politico dell’omicidio di Zoran Đinđić. Jadranka Šešelj, moglie del leader radicale, si ferma al 3,9%.
Elezioni parlamentari
[ad]Stesso copione per le elezioni parlamentari. Il partito progressista di Tomislav Nikolic si piazza al primo posto con il 24,7% dei voti. Il partito democratico di Boris Tadic è al 23,2%. Il partito socialista di Dadic prende il 16,6% mentre il partito democratico di Serbia (Dss) di Kostunica si ferma al 7,2%. Il partito delle Regioni unite ottiene il 6%. Il partito radicale serbo di Vojislav Šešelj non supera il 4,6% mentre gli ultracleronazionalisti di Dveri si fermano al 3,6%.
Il programma di Tadic si concentrava, ovviamente, sulla necessità di proseguire con le riforme democratiche che portino la Serbia verso standard europeri. Tadic, però, ha sempre tenuto un piede in due scarpe facendo l’occhiolino ai nazionalisti di cui sperava di catturare le simpatie. A tal fine ha sempre tenuto una posizione oltranzista sul Kosovo. Nikolic, che salvo credere a una caduta sulla via di Damasco resta l’estremista di sempre, ha giocato sulle guerresche retoriche nazionali, cavalcando il malcontento per una disoccupazione che raggiunge il 24%.
Il prossimo governo, Ivica Dacic primo ministro?
Se il nome del presidente si saprà solo al ballottaggio, le ipotesi sulla formazione del nuovo governo non possono che vedere i democratici di Tadic unirsi con i socialisti di Dacic e, probabilmente, il partito delle regioni o il Dss di Kostunica, mandando all’opposizione i (finti) progressisti di Nikolic e le compagini radicali. Una soluzione di compromesso tra forze reazionarie e democratiche che non gioverà alla modernizzazione del Paese. Il primo ministro potrebbe essere lo stesso Dacic.
Dalle urne esce dunque una Serbia che puzza di vecchio, incline a chiudersi in sé stessa piuttosto che aprirsi a istanze realmente democratiche.
di Matteo Zola