Il mobbing è quanto di più spiacevole possa capitare sul luogo di lavoro. Rimproveri, battute continue di cattivo gusto, insulti, offese e provocazioni di vario tipo, indicano tutti la concretizzazione di episodi di mobbing in ufficio. Vediamo allora più nel dettaglio come questo fenomeno si esprime, con quali modalità e che risposta dà la legge alla vittima di questi affronti.
Mobbing in ufficio: che cos’è?
La parola “mobbing” deriva dalla lingua inglese, ovvero dal verbo “to mob”: aggredire una persona. Pertanto già l’espressione non lascia dubbi: il luogo di lavoro talvolta può trasformarsi in una sorta di arena in cui i colleghi, in un clima di frustrazione generalizzato, si accaniscono su una o più persone, in modo da isolarla e compiere atti di vera e propria violenza psicologica.
I rischi connessi al mobbing sono noti non soltanto agli avvocati, ma anche ai medici: le continue aggressioni più o meno velate e le vessazioni ripetute nel tempo possono causare nella vittima un perdurante stato di angoscia e/o ansia che può produrre un oggettivo danno di salute, per il quale è possibile chiedere un risarcimento.
Il mobbing è insomma una condotta da condannare in ogni caso: con essa, i colleghi o il capo attuano azioni mirate a mettere all’angolo la vittima, costringendolo alle dimissioni o al licenziamento. Spesso il mobbing trova origine in gelosie o antipatie che sul luogo di lavoro – specialmente se si tratta di un ambiente pesante e oppressivo – possono più facilmente emergere.
Come si manifesta: i tratti essenziali ed alcuni esempi
Il mobbing, dal punto di vista pratico, può essere sostanzialmente di due tipi:
- orizzontale: se attuato dai colleghi di lavoro, in posizione gerarchica di parità, magari per ragioni di invidia o gelosia;
- verticale (detto anche bossing): se attuato dal capo o dal superiore gerarchico, per costringere la vittima ad abbandonare il posto di lavoro.
Come anche acclarato dalla non esigua giurisprudenza in materia, ci sono alcuni segnali che consentono di affermare con certezza che un lavoratore è vittima di mobbing. Eccoli in sintesi:
- un oggettivo e valutabile danno alla salute psicofisica (angoscia, stress, panico);
- il nesso di causalità tra atto di mobbing e danno patito;
- la volontà di perseguitare la vittima;
- la reiterazione dei comportamenti persecutori per almeno 6 mesi.
Ma in concreto, quali esempi di mobbing si possono fare, per avere più chiare le idee? eccone qualcuno:
- è mobbing il comportamento di chi, a lavoro, insulta qualcuno con parolacce e senza motivo;
- è mobbing la condotta di chi scredita il collega o il proprio lavoratore alle dipendenze, davanti a tutto il personale in ufficio;
- è analogamente discriminatoria la condotta di chi viene relegato allo svolgimento di mansioni inferiori rispetto a quelle per cui era stato assunto, magari in un angolo nascosto della sede dell’azienda;
- sono dannosi anche gli atti del soggetto che, per motivi di invidia, cerca di ostacolare la crescita professionale del collega talentuoso e vittima di angherie.
Insomma, com’è facile immaginare, i casi possibili sono pressocché infiniti, stante l’estrema variabilità delle situazioni pratiche in cui possono manifestarsi.
Che fare in caso di molestie, insulti o angherie a lavoro?
Più strumenti sono previsti dalle norme in materia, a favore di chi è vittima di mobbing a lavoro. Vediamole in una rapida rassegna:
- anzitutto, è possibile fare una segnalazione presso uno sportello anti-mobbing della propria città (qui il link ad uno dei centri più noti in Italia), in cui trovare aiuto, assistenza medica e consulenza legale;
- è anche legittimo fare avere una diffida, ovvero un avvertimento al responsabile della condotta dannosa, in essa indicando che in caso di continuazione del mobbing, ci si rivolgerà al tribunale;
- e, in ipotesi specifica di mobbing attuato con molestie, minacce o comunque con condotte che possono avere ed hanno una rilevanza penale, sarà certamente ammissibile fare denuncia alla Procura della Repubblica o alle forze dell’ordine. Laddove in fase d’indagine, siano individuati concreti elementi per celebrare il processo penale vero e proprio, la vittima di mobbing avrà interesse a costituirsi parte civile, al fine di ottenere il risarcimento dei danni patiti, in caso di condanna dell’imputato o degli imputati per mobbing.
Concludendo, saranno tuttavia decisive le prove della condotta di mobbing: testimonianze di colleghi, messaggi scritti, certificati medici ecc. In particolare, come sopra accennato, ribadiamo che per ottenere giustizia sarà necessario provare la continuazione nel tempo delle condotte (almeno 6 mesi); il nesso di causalità tra atti di mobbing e danno alla salute; e, non meno importante, dovrà essere dimostrato l’effettivo danno alla salute, mediante la produzione di documentazione medica ad hoc. In presenza di questi elementi, ottenere la condanna e il conseguente risarcimento non sarà impresa impossibile.
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