Le urne sono chiuse anche a Yerevan e nella provincia armena. Il 62,2% dei quasi due milioni e mezzo di armeni registrati ha votato, e il risultato è molto meno rivoluzionario delle aspettative. Ma se il governo si assicura il migliore degli scenari possibili, la società civile armena è oggi consapevole che la democrazia non può essergli negata impunemente ancora a lungo.
I risultati, tra seggi e percentuali
[ad]Il duo del presidente Serzh Sargsyan e del primo ministro Tigran Sargsyan, entrambi del Partito Repubblicano Armeno (HHK), ha retto estremamente bene il colpo delle urne, portando a casa il 44,8% dei voti (era il 34% nel 2007), così come il suo compagno di coalizione, il partito Armenia Prospera (BHK), legato all’ex presidente Kocharyan, raddoppia i consensi passando dal 15% al 30%. Solo il terzo partito della coalizione di governo, Stato di Diritto (OEK) perde due punti percentuali, ma si mantiene di poco sopra la soglia di sbarramento del 5%. Il risultato, con un sistema elettorale misto (2/3 proporzionale e 1/3 maggioritario), è che i partiti di governo raccolgono una comoda maggioranza di 111 seggi su 131. Più o meno come nel 2007 (erano 109), ma allora i partiti di governo erano 4: la Federazione Rivoluzionaria Armena (ARF) ci mise poco meno di un anno prima di lasciare la coalizione.
L’opposizione si deve accontentare dei 20 seggi restanti, stavolta da dividere ancora tra più forze: 7 per il Congresso Nazionale Armeno (ANC), blocco elettorale del primo presidente dell’Armenia indipendente, Levon Ter-Petrosyan; 6 per la Federazione Rivoluzionaria Armenia, il più antico partito armeno, socialista e nazionalista; e 5 per il partito Heritage dell’ex ministro degli esteri Raffi Hovannisyan.
Insomma, i due maggiori partiti di governo guadagnano seggi, l’alleato minore si salva e resta in riserva, le opposizioni entrano tutte in parlamento ma con il minor numero possibile di seggi. Il migliore dei risultati possibili, per Sargsyan. Ma corrisponde alla volontà popolare degli elettori armeni?
Elezioni libere e competitive? Forse, ma non abbastanza
La scommessa principale, per l’Armenia tanto quanto per i suoi interlocutori internazionali (UE in testa), era che le elezioni si dimostrassero ‘free and fair’, libere e competitive, così da legittimare il governo e porre le basi per un rafforzamento della democrazia nel paese. I risultati mostrano un miglioramento, ma ancora non c’è una svolta.
La campagna elettorale si è dimostrata pacifica e vivace, e i mezzi d’informazione hanno offerto una copertura equilibrata delle forze in campo; la rinnovata legge elettorale ha offerto un quadro più equo alla competizione elettorale. Tuttavia, numerosi deficit rimangono: l’incertezza sulla correttezza dei registri elettorali, le denunce di corruzione, voti di scambio, e possibili voti multipli dovuti all’evaporazione dell’inchiostro dei timbri elettorali sui documenti di voto, dimostrano che il processo elettorale in Armenia non è ancora totalmente consolidato e libero. In particolare, gli osservatori europei hanno puntato il dito contro la diffusa ed indebita interferenza dei rappresentanti di partito nell’esercizio dei seggi, indicandolo come un comportamento “inaccettabile”, da correggere entro le elezioni presidenziali del 2013.
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[ad]Le prime dichiarazioni degli osservatori internazionali sono caute e felpate, segno che il bilancio è più in toni di grigio che in bianco o nero. Oltre ai disfunzionamenti della macchina amministrativa, l’OSCE si dichiara fortemente preoccupato per “la generale mancanza di fiducia nell’integrità del processo [elettorale] tra i partiti politici e il grande pubblico”. In particolare, un gran numero di giovani e di attivisti armeni si erano esposti in prima persona, facendo campagna per un’elezione onesta piuttosto che per un singolo partito, e quindi registrando le varie irregolarità; 30.000 osservatori locali erano sparsi tra i 2.000 seggi del paesi. L’insoddisfazione, tra loro, è ora inevitabile, ma uno dei risultati principali di questa elezione è forse a livello normativo: ciò che fino a ieri era visto come la normalità della vita elettorale in Armenia (brogli, voto di scambio, corruzione) oggi è considerato inaccettabile, benché continui ad accadere.
Prospettive: elezioni presidenziali e relazioni con l’UE
I risultati delle elezioni sembrano spianare la strada alla rielezione di Serzh Sargsyan a presidente del paese nel 2013, sempre che prima di allora non si squagli la coalizione con Armenia Prospera. Dall’altra parte Levon Ter-Petrosyan, con il 7% dei consensi per il suo blocco elettorale, si scopre veramente indietro. Se l’opposizione volesse veramente sfidare Sargsyan, dovrà accordarsi su un candidato unico; viste le divergenze politiche con la Federazione Rivoluzionaria Armena e con Heritage, entrambi molto più radicali soprattutto in politica estera, il compito non sarà facile.
Il giudizio finale degli osservatori internazionali sul carattere libero e democratico delle elezioni sarà importante anche nel quadro delle relazioni tra UE e Armenia. Yerevan, da sempre alleato, naturale o forzato, di Mosca, partecipa oggi alla piattaforma del Partenariato Orientale della Politica Europea di Vicinato. Bruxelles ha fatto chiaramente capire che l’assenza di progresso democratico ed elettorale avrebbe significato anche un regresso nelle relazioni bilaterali. Oggi l’UE è il primo partner commerciale dell’Armenia, e i negoziati diplomatici concernono l’introduzione di un’area di libero scambio, e il rilassamento del regime dei visti.
di Davide Denti