Giulia – Perché merito di vivere
Una madre che non sapeva cosa fare, ed è finita in un posto dove la frase “troppo tardi” è lecita.
[Sette prostitute e tre clienti]
Ciclo I: [Giulia] – [Jackson] – [Consuelo] – [Xeni] – [Clelia] – [Guido] – [Gaia] – [Andrea] – [Rosa] – [Elettra]
Ciclo II: [Giulia] – [Gaia] – [Consuelo] – [Guido] – [Clelia] – [Andrea] – [Jackson] – [Elettra] – [Xeni] – [Rosa pt.1] – [Rosa pt.2]
Ciclo III: [Xeni] – [Guido] – [Clelia]
Rosa, schiena dritta e gambe incrociate sulla bergere, ha occhi rilassati e compiaciuti come un gatto vicino al termosifone. Osserva Clelia accendersi una sigaretta con il mozzicone dell’altra: «Quanti anni hai, Giulia?»
«47. Tu?»
«Io sono la regina» dice Rosa, con un sorriso malizioso «Raccontaci perché meriti di vivere.»
«Merito di vivere perché… per mio figlio. Quando suo padre s’è ucciso ci ha sconvolto la vita, e io-
«Haha, lo sapevo, la grande tragedia che dà un senso alla vita inutile» sghignazza Guido, battendo le mani «Mio figlio è un nullafacente che passa le giornate a drogarsi, per fortuna me l’hanno ammazzato i poliziotti, adesso io che fino a prima amministravo condomini divento la madre coraggio, il simbolo, cacciatemi 3000 euro a presenza. Vai, racconta l’ennesima storia di parassiti col mantello.»
«Oh, lo so che non sono una santa, Guido, e so quanto ti piace maltrattarmi quando mi ti fai. E forse hai ragione. Per buona parte della mia vita ho fatto la vittima perché… ma sì, perché non so fare altro» stringe le spalle Giulia «Mi sono fatta mantenere in cambio di sesso. Merito di morire per questo? Forse ho distrutto la vita di mio marito, forse avrei dovuto trattarlo meglio, capirlo, essere meno viziata e ottusa.
Forse ce l’ho sulla coscienza, forse no.
Sono stata una pessima moglie e una pessima madre, ma a differenza tua non ho assassinato due persone solo perché andavano a letto senza il tuo permesso. Quindi non farmi la morale. Cristo, tu qui dentro sei l’ultimo che può farla.»
Rosa scoppia a ridere: «Bel prologo! Continua.»
«Merito di vivere perché non posso rimediare agli errori che ho fatto, ma posso ancora salvare mio figlio, almeno in parte. Sapete, l’errore che fanno in tanti, coi figli, è quello di avere tempo. È lì per restare, dopotutto, e sei più impegnata a ritagliarti una vita privata tra una baby sitter e l’altra piuttosto che a fare la madre. Credi di farlo. Credi che tra pannolini, biberon, ninnenanne, corse dal pediatra e notti insonni tu stia facendo il massimo, ma non è così: quello è il minimo.
Fare un figlio è come fare il vetro, avete presente?
Avete mai visto come si fa? Quando tirano fuori dalla fornace questa sfera di vetro incandescente e si mettono a lavorarla trasformandola in una bottiglia, un orcio, una damigiana, un vaso o un bicchiere. Hanno pochissimo tempo a disposizione, poi il vetro si raffredda e i giochi sono fatti. Ecco, un figlio è la stessa cosa: hai a disposizione al massimo tre, quattro anni per dargli la forma, poi è fatta.
I difetti o i pregi che avrà da grande li hai decisi tu in quel minuscolo periodo di tempo. L’hai reso un bicchiere o una bottiglia. Oh, in seguito potrai versarci il vino più prezioso, metterlo sulla tavola più agghindata, ma resterà sempre un bicchiere. La forma di una persona è quella, e quella rimane sotto. È in quel minuscolo lasso di tempo che decidi se sarà uno che combatte, si paralizza o scappa. Se sarà coraggioso o codardo, ambizioso o depresso, vincente o sfigato.
Ed è tremendo perché è anche il periodo più difficile.
Lui sta diventando un uomo ma tu stai diventando una madre, e quando piange, chiede attenzioni… sei ancora attaccata alla tua vita precedente e fai di tutto per preservarla. Non perché non lo ami, o perché pensi a te stessa, ma perché il passato è un luogo dove non esistono incognite o scelte, sai cosa succede e come gestirlo. Solo una madre sa cosa si prova ad avere il terrore di sbagliare e contemporaneamente sentire che la propria vita sta scivolando via.
Ti senti inutile e vuota come il guscio di un uovo.
Tutti i genitori sognano un figlio straordinario. Anche perché per buona parte di loro è la sola speranza di riscatto sociale. Io invece non ho mai voluto niente, ne avevo la certezza. Era mio figlio, per forza sarebbe stato speciale anche per gli altri. Adesso è uno stronzetto arrogante e viziato che mi odia perché a Natale i suoi amici si fanno i selfie alla Belvedere di Cortina e lui resta a Trieste a far finta di studiare, senza rendersi conto che sta camminando sul ciglio del burrone e invidia ragazzi che stanno già volando giù.
Adesso lo so, ma lui no.
È come sua madre: è bello e corre dietro alle cose luccicanti. Non ha più un padre che a quell’età comincia a essere utile, ha una madre che fa marchette per mantenerlo e lui non lo sa; sa solo che i soldi non sono mai abbastanza e…» fa Giulia, mettendosi le mani nei capelli «Se muoio che ne sarà di lui? Ha solo vent’anni! Oh, Dio, voglio uscire da qui.»
«Eccomi, eccomi, arriva l’ambulanza» fa Xeni, portando trafelata una sola coppa Martini con un liquido scuro in cui galleggia una scorza d’arancia «Medicina rapida ed efficace. La mia arma segreta per rovinare qualsiasi serata con stile: dritto dalla Louisiana del 1800, questo è il Vieux Carré. Potente quanto un Between the sheets, gonfio di sapori e aromi anche grazie al Cognac che appena sfiora il Benedictine ci fa l’amore, stermina qualsiasi brutto pensiero con il rye whisky. Sconsiglio di berne due, perch
Giulia lo afferra e lo manda giù in un sorso, poi le porge la coppa vuota.
«… perché siamo a corto di antidolorifici» fa Xeni, succhiandosi le labbra «Ma va bene, basta bere due bicchieri d’acqua tra l’uno e l’altro. Meglio tre. Chi ne vuole uno?»
Nove dita indicano il soffitto.
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