[Sette prostitute e tre clienti]
Ciclo I: [Giulia] – [Jackson] – [Consuelo] – [Xeni] – [Clelia] – [Guido] – [Gaia] – [Andrea] – [Rosa] – [Elettra]
Ciclo II: [Giulia] – [Gaia] – [Consuelo] – [Guido] – [Clelia] – [Andrea] – [Jackson] – [Elettra] – [Xeni] – [Rosa pt.1 – Rosa pt.2]
Ciclo III: [Xeni] – [Guido] – [Clelia] – [Giulia]
«Perché meriti di vivere, Elettra?» domanda Rosa.
«Sono giovane?» tenta la ragazza, tormentandosi le mani «Ho solo diciannove anni.»
«E allora?» fa Gaia.
«Non so cosa farò nella vita! Ho tante idee, ma
«Sì, certo, il culo su Instagram e i like» sbotta Guido «Noi come mito avevamo Gianni Agnelli, voi i cartoni animati. Siete scarafaggi sul cadavere di ‘sto paese.»
«E chi l’ha ammazzato?» fa Elettra.
«Noi cercavamo soluzioni, voi cercate colpe, che poi sono pretesti per non far niente. Siete talmente inetti, talmente deboli da non riuscire a scalzare un branco di vecchi e incolpate nonni, politici, globalizzazione, terroristi, negri, razzisti. Tu cosa fai, mentre queste cose succededono? Cos’hai fatto, in diciannove anni? Te lo dico io: hai guardato i filmatini e tocchignato il telefonino. Oooh, Greta, il pianeta, gli alberelli. Fidati, ragazzina, se uno si preoccupa dei grandi problemi del mondo o non ne ha di suoi, o fa finta di non vederli.»
«Perché dici sempre cose orribili?»
«E tu perché ti ostini a non voler vedere la verità ogni volta? Raccontarsi palle verosimili è difficilissimo. Dai, fatti un video in cameretta mentre mostri il culo per arrapare tre sfigati.»
«Oh, CHE PALLE, Guido!» sbuffa Gaia «I vecchi che parlano male delle altre generazioni, lo facevano i babilonesi, gli antichi greci, i romani. È sempre la solita storia.»
«E ha sempre la solita fine» apre le braccia Guido «Hai citato solo imperi decaduti.»
«Allora, Elettra» fa Rosa «Tutto qui? Non c’è niente che vuoi fare, se esci?»
«C’è un posto che voglio rivedere a tutti i costi. Tutti abbiamo bisogno di una speranza, no? Io ho quella. Ritornare in quel posto. È come se ci fosse un’intuizione, sotto, per quello che vorrei essere da grande. Non lo so.»
«Che posto era?» domanda Guido «Londra? Berlino? New York? No, aspetta, ci sono: Tokio!»
«La Valletta.»
«Cos’è, il paesino di provincia?»
«È la capitale di Malta. Mi ci portarono i miei genitori quando avevo tredici anni.»
«Mai vista.»
«A La valletta niente è veloce o efficiente, e a nessuno importa. L’asfalto è così usurato che visto dall’alto scintilla come vetro. Mi ricordo un uomo al porto, scende da un furgone scassato, si toglie la camicia, tira fuori due fusti di birra e si mette a fare esercizi, ha un torace che sembra scolpito nel legno. Una ragazza lo guarda dalla finestra di una palazzina, lui le sorride e le mostra i muscoli. Un vecchio in camicia di flanella si fa la barba specchiandosi in una vetrina… Quando guardi quella città, le vecchie mura spaccate dalla salsedine, i tetti gialli delle case, hai la sensazione di avere mancato di un soffio qualcosa di immenso.
Di enorme.
Ti sembra di sentirlo ancora nell’aria, portato dal vento, come l’eco degli stadi di domenica mattina. Le urla dei feriti, l’odore di bruciato e di cordite, il clangore di spade e armature, le preghiere in coro, la notte in cui non si combatteva per la propria casa o la propria famiglia, ma per il futuro del mondo. Se cadeva Malta, cadeva l’Europa. Guardi i resti di forte sant’Elmo e… e… lo senti. Senti che cinquecento anni fa, lì, combattevano delle divinità.
Poi scendi per le viuzze verso il mare, eviti la strada maestra tra i turisti affaticati. Negozi di carabattole e bar senza pretese con i padroni fuori, piedi callosi e sandali di cuoio a metà tra arabi e vecchi palermitani. Se sostieni lo sguardo alzano sopracciglia e mento, sorridono, t’invitano dentro a prendere i pastizzi e a bere quella strana Coca cola che hanno solo lì e sa di Crodino e Fanta. Il chiacchiericcio delle strade, le macchine, gli autobus anni ’50, sono belli, ma una specie di diversivo.
Poi svolti per un vicolo che s’inerpica verso l’alto e lo senti. No, anzi: lo sospetti. Il vento porta l’odore del porto, qualche ristorante che cucina pesce, vasi di geranei e scalini erosi, ma c’è qualcos’altro. È lì, forse dietro l’angolo, forse quello dopo ancora, ma è come se lì da qualche parte ci sia la risposta a quello che vuoi, che vogliono tutti gli esseri umani. Ma è come quando sogni dei numeri, ti avvicini e si confondono. È come se sotto tanta bellezza scazzata ci fosse la voce del tuo futuro marito, della tua migliore amica, il tuo primo capello bianco, il tuo primo stipendio, e tutti sussurrassero assieme.
Allora ci rinunci e te ne vai, hai altro da fare, cose da vedere, posti ben più chiassosi e allegri e che alla fine si somigliano tutti. Lì no. Se esco di qui, vorrei poter tornare per quei vicoli e cercare quella voce.»
«E scoprire che erano gli uomini a sussurrare zoccola in maltese» fa Guido.
Clelia e Giulia scoppiano a ridere.
«Bè, invece è un gran colpo di scena» dice Rosa «Elettra forse non se n’è accorta, ma ha scelto una difesa interessante: vuole vivere per raccontare, e ha dimostrato di saperlo fare. Difesa interessante; più di altre che ho sentito.»
«Signore e signori, sabbia e sangue» dice Xeni, portando il vassoio «Mi sono permessa d’ispirarmi al racconto di Elettra. Cavalieri, vento, sabbia, sangue, ed ecco a voi il grande capolavoro chiamato Blood and sand. Scotch, vermut, cherry e succo d’arance rosse: Sicilia e Malta siamo lì. Creato in onore del film con Rodolfo Valentino del 1930, fatto a parti uguali è una melodia di erbe, arancio e ciliegie che si scaldano ed enfatizzano con lo scotch. Una serata passata a bere solo questi non è sprecata. Prego notare il profumo di questa perla, e soprattutto come mi sia presa la briga di tenere i bicchieri in freezer.»