Idv, come avere successo per meriti altrui

Pubblicato il 14 Settembre 2010 alle 13:38 Autore: Giovanni Diamanti
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Parliamoci chiaro: Di Pietro e l’Italia dei Valori devono la rilevanza politica assunta negli ultimi due anni e mezzo agli errori strategici del Partito Democratico e di Veltroni nel 2008.

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Alla “vocazione maggioritaria” del partito-coalizione che è alla fine diventata una vocazione maggioritaria a metà. Non più partito-coalizione, ma coalizione tra due partiti. Tra i tanti partner possibili (il Psi, l’allora Sinistra Democratica che confluì poi nella Sinistra Arcobaleno, i movimenti ecologisti), Veltroni scelse Di Pietro, che passò così dal 2,3% del 2006 al 4,4% del 2008, all’8% del 2009. Facile immaginare che Di Pietro, se Veltroni all’epoca avesse invece scelto un altro partner, avrebbe faticato ad arrivare in Parlamento. O sarebbe stato costretto, a causa di questa legge elettorale, ad entrare nel Pd. Magari fondando una sua corrente, giustizialista e antiberlusconiana. D’altra parte, l’elettorato italiano, nella seconda Repubblica, ha sempre premiato il bipolarismo. Meno il bipartitismo. Così, la creazione di una coalizione tra Pd e Idv ha significato per i democratici, oltre che tradire il concetto originario di “vocazione maggioritaria all’americana” (e quindi bipartitica), favorire l’avanzata dei dipietristi. Perché il Pd del 2008 ha ottenuto tanti consensi, ma tanti elettori, soprattutto provenienti dalla sinistra radicale, lo guardavano scettici. Ma al contempo non volevano “buttare” il proprio voto, regalandolo alla Sinistra Arcobaleno, che aveva come maggiore ambizione quella di entrare in Parlamento con una piccola pattuglia di onorevoli e senatori decisi a fare opposizione “senza se e senza ma” a chiunque dovesse governare. Così l’elettorato di sinistra ha trovato, sulla scheda elettorale, una alternativa: l’Italia dei Valori. E in molti l’hanno preferita al Pd veltroniano, considerato “poco antiberlusconiano”. Dopo le elezioni, il fallimento dell’”opposizione responsabile” e dialogante ha portato al crollo del Pd, e ha consentito a Di Pietro di aumentare i suoi consensi rapidamente. Facendo semplicemente quello che aveva sempre fatto: l’antiberlusconiano. Ha così ottenuto consensi da sinistra, dagli antipolitici, e persino da quella vecchia destra legalitaria che non ha mai visto con simpatia Berlusconi.

[ad]Ora però si è aperto uno scenario nuovo. La Destra (quella nostalgica, con la D maiuscola, quella postmissina che non ama i partiti-azienda e gli imprenditori-politici, quella antiberlusconiana che in parte ha votato Di Pietro) ha ritrovato un leader. Cioè colui che qualche anno fa aveva deciso, anche perché costretto, di seguire il “Partito del Predellino”. Gianfranco Fini. Uomo di destra, ultimamente un po’ troppo liberale per alcuni, ma che, col discorso di Mirabello, le citazioni di Ezra Pound e gli omaggi a Tremaglia, ha deciso di tornare alle origini. Fini e il suo partito-non-ancora-partito, Fli, hanno sorpreso negli ultimi sondaggi. Accreditati oltre il 6% da Demos&Pi su “La Repubblica” e da Ispo su “Il Corriere della Sera”, quasi al 7% da Luigi Crespi. I cosiddetti “antipolitici” hanno invece trovato un nuovo riferimento, Beppe Grillo, che col suo “Movimento 5 stelle”, sempre secondo il sondaggio di Demos&Pi, ha superato il 3% dei consensi degli italiani, dopo aver fatto piangere, qualche mese fa, il centrosinistra in Piemonte ed Emilia Romagna. Infine, una parte consistente del bacino elettorale dipietrista post-2008 è stata la Sinistra. Quella Sinistra che nel 2006 risultò decisiva per la vittoria di Prodi e che poi si è rifugiata nel non voto, e in misura minore in qualche nostalgico consenso a Rifondazione. Ma, soprattutto, a Di Pietro. Oggi la Sinistra, quasi in contemporanea con la Destra, ha trovato un nuovo leader: Nichi Vendola. Il Presidente della Puglia ha ridato speranza a molti elettori delusi dall’Ulivo, dal Pd e dalla politica, e ora tenta l’assalto alla leadership della coalizione cercando di riunire la sinistra.

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