Partita Iva 2020: quando non conviene aprirla e perché
Partita Iva 2020: è sempre obbligatorio aprirla oppure no? quali sono le regole essenziali e le valutazioni da fare? Ecco le informazioni utili a riguardo
Chiunque voglia svolgere o svolge un’attività di lavoro autonomo (pensiamo ai negozianti, a coloro che esercitano le professioni del commercio, gli avvocati, gli architetti ecc.) sa bene che, tra i vari oneri da sostenere per portare avanti la propria attività, in conformità alle prescrizioni di legge, c’è l’obbligo della partita Iva. Cerchiamo di seguito di capire però se davvero la partita Iva è sempre una scelta obbligata o se ci sono casi, circostanze o condizioni in cui è preferibile non aprirla e non essere quindi soggetti al regime fiscale collegato. Facciamo chiarezza.
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Partita Iva: che cos’è in breve
Prima di occuparci della convenienza di aprire la partita Iva, vediamo in breve di che si tratta. Essa altro non è che è un mezzo a disposizione di liberi professionisti, commercianti ed aziende con cui tali soggetti possono svolgere le loro occupazioni nel totale rispetto del regime fiscale italiano. Di fatto la partita Iva si identifica con una sequenza di 11 cifre che sono finalizzate ad individuare senza equivoci il contribuente, persona fisica o giuridica. In linea generale, la p. Iva costituisce lo strumento più idoneo a lavorare in autonomia e rispettando tutte le norme fiscali italiane, quando – ad esempio – è emessa una fattura, oppure sono pagate le spese per la previdenza sociale o i contributi.
L’Iva quindi altro non è che quella somma che si aggiunge all’importo spettante al professionista o negoziante o azienda, per le mansioni svolte a favore del cliente o dell’acquirente. È una percentuale del compenso che sarà versata dal cliente, ma non incassata dal libero professionista, bensì dal Fisco, essendo l’Iva un’imposta (imposta sul valore aggiunto).
La partita Iva è composta da 11 cifre che hanno una precisa funzione: le prime sette determinano l’azienda o lavoratore autonomo senza equivoci: è così possibile correlare lavoro a contribuente senza possibilità di errore. Le tre cifre che seguono servono all’Agenzia delle Entrate per identificare il soggetto (persona fisica o giuridica) obbligato verso il Fisco. L’ultima cifra serve invece ad un controllo finale.
Come accennato sopra, aprire la p. Iva talvolta è obbligatorio e non farlo esporrebbe a conseguenze sanzionatorie. Tuttavia, non sempre sussiste questo obbligo, che consente al Fisco di porre a carico di cittadino o impresa tutta una serie di imposte da pagare: possono esserci delle esenzioni. Vediamole.
Come aprirla e quando non è obbligatorio
Aprire la partita Iva, di per sè, non comporta costi particolari: è la fase di gestione e mantenimento nel tempo dell’attività, che invece li produce (come ad esempio i costi dei contributi per la pensione, Inps o di altra cassa previdenziale di categoria, oppure i costi per l’iscrizione agli ordini professionali o alla Camera di Commercio). Aprirla non significa però dover svolgere operazioni complesse: l’interessato dovrà fare apposita domanda all’Agenzia delle Entrate – compilando un modulo ad hoc presente sul sito dell’Agenzia – entro trenta giorni dall’inizio dell’attività autonoma. Di fatto per aprirla, si potrà o inviare il detto modulo con raccomandata a.r., oppure in via telematica, oppure ancora ci si potrà avvalere del modo più tradizionale, ovvero andare personalmente all’Ufficio delle imposte. Non esiste un solo regime di partita Iva, sussistendo sia quello denominato “contabilità ordinaria” sia quello denominato “forfettario”: la miglior cosa da fare è rivolgersi ad un valido commercialista che, con in mano tutti i dati e le informazioni essenziali di colui che la vuole aprire, saprà consigliare al meglio verso il regime più opportuno da aprire, onde evitare eccessivi oneri fiscali verso lo Stato.
Come suddetto, aprire la p. Iva non è sempre obbligatorio per il negoziante o il libero professionista e per tutti coloro che in generale esercitano un’attività di lavoro autonomo. Infatti, se l’attività di lavoro, nel corso dell’anno, è discontinua e frammentata e, pertanto, non permette di avere un reddito di almeno 5.000 di euro in 12 mesi, il lavoratore autonomo può evitare di fare domanda di apertura. Se il limite in oggetto è superato, anche solo di poche decine di euro, scatta però immediatamente l’obbligo.
È chiaro che evitare l’apertura e gestione della partita Iva, semplifica la vita al lavoratore autonomo ed elimina una serie di incombenze altrimenti spettanti, come ad esempio quelle legate alla conservazione nel tempo delle scritture contabili, ovvero documenti e registri imposti dalla legge.
Quando non conviene aprirla?
A questo punto, possiamo rispondere alla domanda di cui al titolo dell’articolo: quando realmente è preferibile fare a meno della partita Iva? Ebbene, è chiaro che per poter fronteggiare i costi, talvolta non esigui della p. Iva, occorre che – durante la propria attività – i guadagni siano superiori a tutte le spese, come quelle fiscali, l’affitto dei locali, gli eventuali dipendenti come segretari ed impiegati, le utenze ecc. Il punto è insomma capire, prima di intraprendere l’attività autonoma, quali potranno essere – all’incirca – i margini di guadagno nel primo anno di attività. Diventerà cioè essenziale comprendere se e come la propria attività farà presa sul territorio e sui clienti del luogo, in base ai prezzi proposti, alla concorrenza nel territorio e ad alla natura dei beni venduti o delle prestazioni offerte.
Concludendo, va da sè che capire quando conviene non aprire la p. Iva, dipende da valutazioni contingenti e legate ai dettagli pratici della propria iniziativa di lavoro autonomo: ecco allora che affidarsi ad un bravo consulente o commercialista potrebbe rivelarsi una scelta azzeccata nel decidere se tentare la strada del lavoro autonomo oppure no. Se si tratterà di lavoro autonomo ma discontinuo e non si prevedono redditi particolarmente elevati, anzi entro il tetto dei citati 5.000 euro, ribadiamo che sarà possibile lavorare comunque senza p. Iva.
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